Caro direttore,
il recente fondo di Marina Corradi, riferendosi all’intervento di Papa Francesco in materia, focalizza in maniera esauriente il significato del matrimonio cristiano che, dalla sua istituzione, ha subito infiniti tentativi di imitazione, svuotamento, contraffazione da parte del “mondo”. Il matrimonio cristiano, infatti, è totalmente altro da quel “contratto civile” che società e civiltà diverse, lungo i secoli, hanno proposto, a volte tentando di contrapporgli la stessa valenza. Ma, il fatto che dopo venti secoli di cristianesimo ci sia bisogno di riproporne il vero significato è dovuto all’eclisse del cristianesimo nella nostra società. C’è stata infatti, oggi, la perdita del concetto di “sacramento” in generale e, appunto del matrimonio come sacramento, in particolare. Nella fretta di questi decenni di fare spesso della catechesi qualcosa che non fosse “scuola” o “nozionismo”, molto pochi ormai sanno cosa sia un sacramento: “Segno sensibile ed efficace della Grazia” come recitava il catechismo un tempo. Sensibile: attraverso la materia, efficace: che fa, che trasforma… E nemmeno sa più cosa sia la Grazia nella sua definizione agostiniana: “…la vita di Dio in noi”: in parole più semplici la via eterna donata a noi da Cristo nell’Eucaristia e da essa irradiata negli altri sei sacramenti. Pochi sanno che nel sacramento del matrimonio la Grazia è scambiata vicendevolmente tra due sposi ogni volta che tra loro c’è uno scambio d’amore, piccolo o grande che sia, ed è già scambio eterno di vita, segno di futura resurrezione. Sì, solo nel matrimonio cristiano, che nessuna altra forma di “matrimonio” può sostituire, esiste un Garante che, se richiesto e invocato, dona la forza di trasformare un semplice rapporto tra uomo e donna in un seme di eternità. E questo matrimonio è anche figura di quella bellissima immagine evocata dall’Apocalisse: «…lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. Chi ha sete venga, chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita…». Nulla può fare concorrenza al matrimonio cristiano.
Emi Degli Occhi, Milano
La ringrazio, cara signora Degli Occhi, per la passione e la ricca carica comunicativa con cui richiama il senso, la forza e la bellezza del matrimonio cristiano. Parole come le sue, ne sono convinto, trovano echi profondi nella riflessione e nella consapevolezza di moltissimi italiani (tanti più di quanto, in genere, si creda). Per questo, a complemento di ciò che scrive, vorrei fermarmi a ragionare un po’ su un punto che lei invece tocca rapidamente e solo – diciamo così – per contrapposizione: il valore del matrimonio anche come «contratto civile».
Dico spesso che uno dei segni più rivelatori della crisi che stiamo vivendo sta nel fatto che siano i credenti, addirittura i vescovi, a dover oggi richiamare e spiegare non solo lo straordinario valore del matrimonio sacramentale bensì, appunto e addirittura, il valore civile di un simile impegno tra una donna e un uomo, comunque credano, comunque la pensino. Un valore grande perché si tratta di una solenne assunzione di responsabilità davanti alla comunità umana di cui si è parte, che anche solo nella sua pura e semplice dimensione “orizzontale” (che non contempla la “verticalità” degli aspetti spirituali) ha il significato e la concreta valenza di un “patto” a costruire e sviluppare una costante e profonda solidarietà accogliente, tra i coniugi stessi e verso i figli che dal matrimonio possono naturalmente nascere, continuando così non solo la storia di una famiglia, ma anche la vicenda di un’assai più vasta “famiglia di famiglie”, cioè di quella che chiamiamo società. Ai coniugi cristiani, arricchiti da un’ulteriore consapevolezza e dalla Grazia che a loro è gratuitamente data come “misura” dell’amore di cui sono capaci e che li supera, tocca il dovere e l’allegria di testimoniare la bontà e la bellezza anche umane di questo essenziale e fertile stare insieme. È una forma di unione che non esclude – continuo a pensarlo – altre forme di solidarietà che possono realizzarsi su altri e distinti piani, perché il matrimonio tra una donna e un uomo a nessun’altra forma di solidarietà è uguale.