La favola di Endrik, il ragazzo d'oro sulle orme di Pelé
domenica 31 marzo 2024

Nel calcio, riteneva Pelè, «la testa parla al cuore e il cuore parla ai piedi». E chissà cosa penserebbe del distillato di cuore di cui è intrisa la lunga lettera di un diciassettenne che più d’uno, oggi in Brasile, pronostica come suo erede e che in fondo ha avuto la sua stessa infanzia. All’anagrafe è Endrick Felipe Moreira de Sousa, ma per i fan solo Endrick. Sulla maglia ha il 21, giorno di luglio in cui è nato, anno 2006, a Taguatinga, mezz’ora da Brasilia.

Oggi è un attaccante del Palmeiras e della nazionale verdeoro. Ma fra quattro mesi andrà a giocare nel Real Madrid: «La squadra che prendo sempre alla Playstation quando mi guardi», ha scritto nella missiva al fratellino Noah, pubblicata su The Players’ Tribune e ora virale sui social. «Ero convinto che ce l’avrei fatta. E la mamma piange ancora, quando se ne ricorda», racconta Endrick, riavvolgendo il film della sua esistenza in un toccante manifesto d’amore. Amore per il fratellino di 4 anni: «Caro Noah, ti voglio bene, è la prima cosa, la più importante». Amore per i genitori Douglas e Cintia: «Mamma ha lasciato la sua vita a casa per sostenere il mio sogno a San Paolo. Portava la Bibbia al parco, si sedeva e parlava con Dio. Papà è rimasto a lavorare e a mandarci i soldi».

Amore soprattutto per la vita, vissuta di corsa dietro un pallone che rotola: «Quando sei nato, ti ho fatto un regalo di compleanno. Non avevo soldi per un giocattolo, ma ti ho preso la palla d’oro del torneo. Capisci? Nella nostra famiglia non siamo nati ricchi. Siamo nati nel calcio», scrive a Noah. Leggetela, se potete, quella lettera, perché dentro c'è anche di più. C’è il desiderio di un adolescente – che la folle borsa globale del calcio già valuta fra i 35 e i 70 milioni di euro – di non dimenticare chi è e da dove proviene, di spiegarlo a un fratello troppo piccolo per ricordarlo e di ribadirlo al mondo del football, così glamour e spendaccione da indurre i suoi coetanei a crescere nel mito di chi ammucchia fuoriserie in garage, scommette sulle partite e cancella il passato con la vernice dorata. Un mito che finora il numero 21 non rincorre: «Prima non vivevamo in un appartamento elegante come adesso – racconta a Noah -, ma in un posto chiamato Vila Guaíra e la nostra vita era molto diversa. Negli anni a venire, diranno che era tutto dolore e miseria. Ma la verità è che ho vissuto un'infanzia meravigliosa, grazie a Dio e a tutto ciò che mamma e papà hanno sacrificato. E grazie al calcio, ovviamente».

Ecco, a dispetto della verde età, dalle parole del baby-astro carioca affiorano sentimenti solidi e genuini. Simili a quelli che un altro ragazzo-prodigio, il nostro tennista d’oro Jannik Sinner, ha esternato in mondovisione dopo la vittoria in Davis, elogiando il sostegno dei genitori. Immaginiamo le obiezioni: di favole così, ce n'è una su un miliardo; a raccontarle, si rischia di scivolare su una melassa di retorica; e celebrarle sui social è pure peggio, perché alimenta quella fabbrica di speranza che, nei Sud del mondo, spinge milioni di bambini a sacrificare l’infanzia per la chance di cambiar vita. Sì, questo accade.

E, finché il miraggio di un'esistenza da nababbi farà da sfondo alla pratica degli sport “ricchi”, accadrà ancora. Ciò non toglie comunque sapore al gesto di un 17enne che deve ancora scrivere un futuro da campione, ma ha già messo nero su bianco alcune doti necessarie: umiltà, sincerità, serietà, passione, riconoscenza. “Il ragazzo si farà”, canterebbe De Gregori. Ed Endrick non ha neppure le spalle strette. Intanto ha segnato a Wembley il gol con cui il Brasile ha battuto l’Inghilterra. La prima rete in nazionale, a 17 anni. Come un certo Pelè.

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