Il calo delle nascite rischia di far scomparire molti cognomi italiani - Agenzia Romano Siciliani
Delle migrazioni sappiamo quasi tutto. Della denatalità quasi. Ci dividiamo sull’accoglienza e non sappiamo come incoraggiare le donne (e gli uomini) a far figli. Intanto, però, la storia familiare del Paese scompare. Proprio così. Dopo i dinosauri toccherà quasi certamente al signor Rossi. È ancora il cognome più diffuso nel nostro Paese, soprattutto se si considera la variante Russo, molto presente al Sud, ma la situazione potrebbe cambiare in una manciata di generazioni. E questa volta non ci sarà un Bruno Bozzetto. Il padre del cartone animato che fotografò l’italiano medio, creando un’icona del Novecento Italiano, fece resuscitare la sua creatura nel 1981, dopo che il personaggio era morto in un precedente lungometraggio. Tuttavia, per correggere la realtà non bastano gomma e matita.
La scomparsa di tanti cognomi italiani è una delle conseguenze delle culle vuote e, pur ammettendo che il Paese ha ben altri problemi, dovremmo considerarla una perdita. Non sembra pensarla così il mondo scientifico, che per ora non ha dedicato al tema alcuna ricerca. Abbiamo compulsato molti archivi. Partendo da internet. Secondo il sito “Cognomix.it”, nel nostro Paese, i cognomi sono oltre 350.000 e ognuno è portato, in media, da circa 170 persone. Alcuni sono particolarmente popolari. Rossi, per tornare alla creatura di Bozzetto, è ancora il più diffuso (79.913 famiglie), seguito per l'appunto da Russo.
Il sito propone numerose mappe di diffusione dei cognomi, i cui dati sono estrapolati dagli elenchi telefonici di alcuni anni fa: «Purtroppo sono dati parziali e servono per dare l'idea della diffusione dei cognomi sul territorio (funzionano molto bene con i cognomi più diffusi, meno con quelli più rari)», ammette il responsabile, Adriano Cotella. Che l’antroponimia, ossia la scienza che studia anche i cognomi, abbia avuto un rilievo nettamente inferiore all’onomastica, che studia specificamente i nomi propri, è acclarato oramai da parecchio tempo. Se ne doleva già nel 1978 Emidio De Felice nel presentare il suo Dizionario dei cognomi italiani, un’opera globale e certamente unica nel suo genere, pur con tutti i limiti riconosciuti dall’autore, che ha utilizzato – anch’egli– gli elenchi telefonici per censire i gruppi cognominali. Questo libro, che ci ragguaglia in modo preciso sull’origine etimologica dei cognomi italiani, resta probabilmente l’unica fonte scientifica cui appellarsi per scandagliare un tema particolare come questo.
Maggiori informazioni si possono ricavare, tuttavia, in modo indiretto e non sistematico, accedendo ad altre fonti. Può esserci di grande aiuto in tal senso un lavoro del 2016 della Banca d’Italia, a firma di Guglielmo Barone e Sauro Mocetti. Il tema era la mobilità intergenerazionale a Firenze tra il 1427 e il 2011. Gli esperti hanno studiato quanto guadagnavano gli antenati dei fiorentini moderni per arrivare a comprendere come la ricchezza accumulata nelle famiglie possa esercitare i suoi effetti attraverso le diverse generazioni, contrariamente a quel che in genere si pensa.
Per effettuare una tale analisi, la ricerca è partita, come aveva fatto De Felice quarant’anni prima, dalla storia dei cognomi italiani. Come si sa da tempo, infatti, in Italia si eredita il cognome del padre e la maggior parte della popolazione ha iniziato ad assumere cognomi ereditari nel 1400: alcuni derivano dal nome del padre (patronimici) attraverso l’uso del genitivo latino (Mattei, ossia figlio di Matteo) e della preposizione “di”/”de” seguita dal nome (Di Matteo), altri da denominazioni geografiche (Perugini, Mantovani, Milanese), dai mestieri (Medici) o dagli attrezzi (Martelli), piuttosto che da attributi fisici Basso, Grasso o, appunto, Rossi e Russo, che pare discendano da un italiano dai capelli fulvi. La differenziazione linguistica indotta dai dialetti ha creato una moltitudine di variabili, col risultato che, come ricordano gli autori della ricerca di Bankitalia, «i primi 100 cognomi più frequenti rappresentano solo il 7% della popolazione complessiva, contro il 22% dell'Inghilterra».
Gli studiosi, per associare i cespiti degli avi e dei loro pronipoti, hanno dovuto isolare e mettere a fattor comune i loro cognomi e da questo esercizio sono emerse le relazioni socio-economiche, con esiti di un certo interesse socioeconomico: «essere discendenti della famiglia Bernardi (al 90° percentile della distribuzione dei redditi nel 1427) anziché della famiglia Grasso (10° percentile della stessa distribuzione) comporterebbe un aumento del 5% dei redditi dei contribuenti attuali», scrivono gli autori della ricerca.
Sulla base delle relazioni esaminate, aggiungono Barone e Mocetti, è stato possibile valutare l'elasticità della ricchezza intergenerazionale e desumere che «la persistenza dello status socioeconomico nel lungo periodo è molto più elevata di quanto si pensasse in precedenza». A noi, però interessa soprattutto che, per arrivare a questo risultato, i due ricercatori abbiano dovuto analizzare anche i tassi di sopravvivenza delle famiglie e quindi la probabilità di trovare discendenti di famiglie fiorentine del XV secolo tra i contribuenti attuali.
Veniamo dunque al punto più interessante, sul piano scientifico: nel lunghissimo periodo, «il tasso di sopravvivenza delle famiglie dipende dalla migrazione, dalla riproduzione, dalla fertilità e dalla mortalità che, a loro volta, possono differire tra persone con background socioeconomici diversi». Il che ci porta a considerare due conseguenze, a seconda dei costumi sociali, che mutano nel tempo: se sei benestante puoi riprodurti senza pensieri e quindi il tuo cognome sopravvive; oppure, se sei benestante sei portato a far meno figli e la tua famiglia scompare. Secondo i ricercatori, un cognome può sparire perché il capostipite ha cambiato città, ma ha una incidenza anche il tasso di fertilità/mortalità di una popolazione, che è influenzato dal dato economico in un duplice senso: peggiori condizioni di vita limitano la riproduzione ma una posizione sociale privilegiata alza l’età media delle primipare, che, come noto, incide sulla natalità.
Vale la pena di ricordare che Bankitalia non è stata la prima né l'unica istituzione a scandagliare questi problemi. C’è chi lo fa da secoli. L'Annuario della nobilità italiana, che Andrea Borella cura da venticinque anni, monitora lo sviluppo delle casate nobiliari, che da sempre si preoccupano anche di tenere in vita cognomi che sono un pezzo di Storia. «Il declino demografico degli ultimi trent'anni ha comportato l'estinzione di molte famiglie e pensiamo che questa tendenza si intensificherà nei prossimi cinquanta: la sopravvivenza delle casate storiche è resa più complessa dalla frequente presenza dei cognomi doppi e di quelli che recano un predicato, ossia una parte del cognome che termina con “ di” seguito dal nome di una località.
Oggi, nella trasmissione di un cognome complesso è più facile che “un pezzo” cada, per semplificarlo», spiega Borella, ricordando che questo fenomeno è sempre esistito ma si è arrestato temporaneamente nella seconda metà dell'Ottocento, con lo stabilizzarsi dell'anagrafe dello Stato unitario, fatto questo accompagnato dalla diminuzione della mortalità infantile, la quale ha permesso ai nobili di preservare cognome, titolo e, talvolta, il patrimonio. Il decremento successivo della natalità, a partire dai primi anni '70, ha operato in senso contrario.
Darwin insegna che la natura lotta sempre per la sopravvivenza. L'uomo lotta anche per darle un nome. Non solo quando è principe o barone. Alcune popolazioni sono intervenute infatti sui propri cognomi, modificandoli, per non perderli o per evitare la confusione. Dove il numero dei cognomi è limitato – ad esempio su un’isola - nel corso dei secoli si è provveduto ad arricchire il cognome con un patronimico, allo scopo di distinguere una famiglia dall’altra. È normale, pertanto, che anche gli Stati prendano le loro contromisure dinnanzi alla scomparsa dei cognomi: «La Repubblica italiana, per perpetuare la memoria storica - spiega Borella -, ha introdotto una innovazione procedurale: invece di dover ricorrere a un provvedimento del presidente della Repubblica, come in precedenza, ora basta un decreto del Prefetto per aggiungere il cognome della madre al figlio: ciò grazie al Decreto del Presidente della Repubblica 03/11/2000, n. 396 consente ad un cittadino proprio cambiare il cognome o aggiungerne un altro al proprio». Ci si riferisce in tal caso ad una procedura che può avvenire dopo la nascita.
Invece, al momento della dichiarazione anagrafica, da quasi due anni si può decidere se assegnargli uno o due cognomi, ossia quello della madre insieme a quello del padre. Ciò è possibile perché, il 1° giugno del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima l'assegnazione esclusiva del cognome paterno ai nuovi nati. Così, a partire dal 2 giugno 2022, i neonati assumono automaticamente un doppio cognome, dato dall'unione dei cognomi dei genitori, fatto salvo l'accordo, al momento del riconoscimento, di attribuire il cognome di un solo genitore.
A distanza di poco più di un anno, si è stimato che, nelle diverse Regioni, dal 5 al 18% dei nuovi nati abbia assunto il doppio cognome, assicurando dunque la sopravvivenza fino ad un cognome materno ogni cinque. Insomma, il problema esiste ed è sentito dagli italiani, anche se, come sottolinea Borella, non sempre la sopravvivenza di un cognome può essere messa in relazione a una preoccupazione storica: «Ci sono cognomi che si vogliono tramandare per motivi affettivi, e ci sta, ma ce ne sono altri che vanno tramandati per non disperdere la memoria storica del Paese. Due discendenti di Guglielmo Marconi, che era stato nominato marchese dal Re d'Italia in ricompensa delle sue geniali invenzioni, hanno aggiunto quel cognome, traendolo dalla linea materna». Peraltro, ci sono moltissimi Marconi in Italia, anche se non tutti discendono dall'inventore della radio.