Gentile direttore, ho letto con stupore nella sua risposta a Enrico Reverberi, su 'Avvenire' di venerdì 17 luglio, che anche lei non disdegna unirsi al coro di tutti coloro che, ogni volta che si nomina la parola 'decrescita', dai media si affrettano a precisare che non amano la decrescita, che la decrescita è sbagliata o peggio cominciano a irriderla. Lei saprà certamente invece che papa Francesco ama la decrescita o almeno è uscito dal coro dei detrattori della decrescita perché per ben tre volte nel testo della Laudato si’ egli nomina la decrescita come qualcosa di necessario e verso cui muoverci. Decrescita infatti non vuol dire cadere nella recessione, ma vuol dire uscire dall’ideologia della crescita e trovare il modo di organizzare una società solidale ed equa riducendo la produzione e i consumi. All’estero si può pronunciare la parola decrescita senza inorridire o senza che immediatamente molti si affrettino a prenderne le distanze, in Italia invece no. Vuol dire che qui la crescita è ancora vista come unico orizzonte possibile per una vita buona. E invece la decrescita è tanto poco un argomento di discussione che in realtà si potrebbe dire che è una necessità indiscutibile e ineludibile visto che attualmente l’umanità consuma risorse per produrre le quali sarebbero necessarie 1,7 terre. La inviterei allora a far sì che si sviluppi un dibattito serio sulla decrescita e che i decrescentisti possano aprire la bocca senza essere immediatamente stoppati. L’orizzonte della decrescita è un orizzonte che è necessario assolutamente aprire al più presto se vogliamo che l’umanità possa avere una speranza di non distruggere definitivamente la possibilità di proseguire la sua avventura sul pianeta Terra. Cordiali saluti.
Maria Elena Bertoli insegnante di Religione Cattolica Barga (Lu)
Sono felice, gentile professoressa, del fatto che lei legga questo nostro giornale con giusto spirito critico. Immagino, però, forse sbagliando, che non lo faccia da tantissimo tempo, perché altrimenti il suo stupore per la mia opinione sarebbe meno forte e magari avrebbe notato che un 'dibattito serio' sui temi cari anche ai decrescentisti è in atto da tempo sulle nostre pagine, senza irridere niente e nessuno. Personalmente, comunque, è da una vita (professionale) che dico, scrivo e spiego di non credere e di non volere 'decrescita'. In estrema sintesi, perché ho imparato che quando la vita (anche quella sociale ed economica) perde spinta propulsiva, deperisce e muore. Per questo preferisco parlare di un 'altro sviluppo'. E l’approfondimento di questa prospettiva e delle buone pratiche che la contraddistinguono è continuo, grazie ai miei colleghi e ai nostri collaboratori, tra i quali diversi importanti economisti, quasi tutti protagonisti del percorso che chiamiamo 'economia civile' e che si sviluppa anche sulla traccia sicura della Dottrina sociale della Chiesa, pur con seria apertura verso altri contributi. La saluto con cordialità. (mt)