Federico Alessandrini assieme all'amico fraterno Montini - Osservatore Romano
Federico Alessandrini, di cui si è recentemente ricordato il quarantesimo anniversario della morte, fu competente e rigoroso giornalista che per oltre mezzo secolo prestò la sua opera al diretto servizio della Santa Sede.
L’approdo al giornalismo del marchigiano Alessandrini, giunto a Roma dalla natia Recanati negli anni Venti per studiare Lettere alla Sapienza, era stato mediato dal decisivo incontro con l’allora giovane assistente del circolo romano della Fuci, monsignor Giovanni Battista Montini, conosciuto nel 1925 nei locali dell’associazione degli universitari cattolici romani di cui Alessandrini era segretario. Nel 1929, dopo aver lungamente collaborato alla rivista universitaria cattolica Studium, Alessandrini assunse la direzione di Azione Fucina, quindicinale che rappresentò per i giovani universitari un importante riferimento sul piano culturale e formativo ove, nel corso degli anni, furono pubblicati numerosi e importanti scritti dell’assistente della Fuci, Montini, «sempre puntualissimo nella consegna ».
Legato a Paolo VI sin dagli anni dell’università e della Fuci da profonda amicizia, il giornalista marchigiano fu una delle figure chiave della comunicazione della Santa Sede tra fascismo e dopoguerra
Contemporaneamente Alessandrini iniziò a lavorare all’Ufficio stampa dell’Azione Cattolica redigendo il Bollettino ufficiale della associazione e il “foglio bozze” con gli articoli destinati a essere ripresi da tutti i giornali diocesani. Questo suo ruolo assunse particolare importanza dopo gli incidenti che, nel maggio del 1931, inasprirono il conflitto latente tra fascismo e Azione Cattolica. Alessandrini, divenuto segretario generale della Fuci, ricordava come «le situazioni esterne, l’ingiustizia nei nostri riguardi, la realtà stessa ci rese antifascisti, e ci indusse a stabilire di fatto l’incompatibilità: il fucino non poteva essere fascista». Proprio a causa del problematico rapporto col fascismo, negli anni Trenta, l’archivio dell’Azione Cattolica venne trasferito in Vaticano e affidato ad Alessandrini, il quale fu anche incaricato di seguire sulla stampa la polemica tra Chiesa e regime e redigere una accurata rassegna quotidiana dei fatti. Allargatasi anche al campo internazionale, la rassegna stampa preparata da Alessandrini era destinata al Papa e ai superiori della Segreteria di Stato e colmava una vistosa lacuna nell’ufficio informazioni della Segreteria di Stato, mancante fino allora di una sistematico servizio di questo tipo.
Grazie al beneplacito della Segreteria di Stato il giornalista marchigiano utilizzò comunicazioni e rapporti che giungevano dalla Germania, dall’Austria e dalla Spagna, per scrivere finte corrispondenze sotto singolari pseudonimi (“Renano”, “Danubiano”, “Cid”), pubblicate sul quotidiano cattolico bolognese L’Avvenire d’Italia e su altre testate cattoliche locali. Tale attività, fortemente caratterizzante per la stampa di quel periodo, era valutata con preoccupazione negli ambienti nazisti. L’autore la proseguì attingendo pure a una ampia documentazione riservata sulla realtà del comunismo sovietico. Alessandrini realizzò infatti, sempre sotto pseudonimo, molti articoli particolarmente informati sulla difficile situazione dei Paesi comunisti. Negli anni Trenta le sue corrispondenze, siglate Verax, avevano dato notizia delle purghe staliniane ben prima che fosse reso noto il rapporto Kruscev.
Nel 1940 Alessandrini venne inquadrato nell’organico de L’Osservatore Romano mantenendo inoltre l’incarico di curare le relazioni del giornale con la Segreteria di Stato: ebbe così occasione di incontrare frequentemente come suo superiore l’antico amico Montini, che – rammentava il giornalista – come assistente spirituale aveva messo «nella mia anima più luce, una luce che spero di poter conservare»; e monsignor Domenico Tardini, segretario degli Affari ecclesiastici straordinari, il quale, riguardo alla sua collaborazione con Montini, proprio ad Alessandrini confidò come «dicono tanto di noi e non sanno che ci vogliamo bene come fratelli». Negli stessi anni Alessandrini si occupò dei vaticanisti accreditati presso il servizio stampa, attivo accanto al giornale della Santa Sede fino alla fondazione della Sala Stampa vaticana, avvenuta nel periodo post-conciliare. Nel 1946 Alessandrini fu chiamato a dirigere il giornale cattolico romano Il Quotidiano, al posto di Igino Giordani, eletto all’Assemblea Costituente. D’intesa con Vittorino Veronese, presidente dell’Azione Cattolica dalla quale Il Quotidiano dipendeva, Alessandrini favorì la più ampia e varia possibilità di confronto e discussione ai fini di una maturazione critica dei cattolici sul piano delle responsabilità politico-sociali. Era infatti convinto che la stampa cattolica avrebbe dovuto incentivare il dibattito e la maturazione delle idee in seno alla Chiesa diventando uno strumento di formazione dei cristiani.
Federico Alessandrini nel 1946 fu chiamato a dirigere a Roma «Il Quotidiano», espressione dell’Azione Cattolica, impegnandosi in una maturazione critica dei cattolici sul piano delle responsabilità politico-sociali
Negli anni Cinquanta Alessandrini tornò a L’Osservatore Romano in qualità di “aiuto alla direzione” del conte Giuseppe dalla Torre e, dal 1959, come vicedirettore affiancò il nuovo direttore Raimondo Manzini trovandosi a raccontare il pontificato dell’amico Montini, ora papa Paolo VI, col quale ebbe modo di confrontarsi su diversi articoli da pubblicare. «Ho letto con commozione il tuo articolo – gli scriveva l’arcivescovo Montini da Milano in una lettera inedita nel luglio del 1962 in merito a un suo articolo su un libro di preghiere –. Vedi di dare ancora al giornale della Santa Sede pagine di tanto umile e confortante splendore. Sarà servizio grande alla causa della Chiesa e della civiltà».
In ripetute circostanze il Papa fece ricorso alla collaborazione di Alessandrini: alcuni suoi scritti pubblicati sul quotidiano vaticano ci rivelano, attraverso le note autografe alle bozze, l’intervento diretto del Pontefice. Con l’approvazione di Paolo VI, all’inizio del 1969, Alessandrini pubblicò sul giornale vaticano tre articoli riguardanti la contrastata vicenda del catechismo olandese, ritenuti dal primate d’Olanda, cardinale Alfrink, «sinceri e autorevoli» e da lui intesi come «una mano tesa verso la Chiesa olandese che noi dovremmo accettare di stringere».
Per la sua esperienza e per la profonda competenza maturata, ad Alessandrini si pensò anche quando, nel 1968, bisognava indicare il nome del primo direttore di Avvenire. Il giornalista marchigiano, non disponibile al trasferimento a Milano, preferì restare in Vaticano, assumendo infine, nel 1970, a coronamento e suggello della sua lunga esperienza, l’incarico di direttore della Sala stampa vaticana che tenne fino al 1976, quando terminò il servizio per motivi di età, dopo aver dato, per oltre un quarantennio, il suo decisivo contributo alla costituzione e al primo consolidamento di un più strutturato sistema di comunicazione della Santa Sede, alla luce del dettato conciliare e interpretando, in perfetta consonanza, la prospettiva montiniana di ascolto e dialogo col mondo moderno, preannunciata da Paolo VI fin dall’inizio del suo pontificato.