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A rileggerla a distanza di un mese, l’accorata constatazione di papa Francesco nel discorso alla Curia Romana («Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più») – ripresa anche dal cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, in apertura del Consiglio permanente – assume ancora maggiore significato. E merita perciò di essere approfondita a livello pastorale e teologico, specie considerando i segnali di una progressiva e apparentemente inarrestabile scristianizzazione che giungono dallo scenario postmoderno delle grandi città.
Si tratta di una costante nel magistero di papa Francesco. E anche nel documento programmatico del suo pontificato – Evangelii gaudium – c’è un intero paragrafo ('Sfide delle culture urbane', numeri dal 71 al 75) dedicato al tema metropolitano, già affrontato più volte quando era arcivescovo di Buenos Aires. Nel discorso alla Curia Romana del 2019, tuttavia, il problema viene trattato con un’ampiezza di riferimenti e una sistematicità di argomentazioni che fanno intravedere sviluppi interessanti. Da un lato, infatti, egli riprende la grande questione della fede, che era stata l’architrave del pontificato di Benedetto XVI (è bene ricordare che la prima enciclica di Francesco è la ormai quasi dimenticata Lumen Fidei, dichiaratamente firmata a quattro mani con papa Ratzinger). Dall’altro pone al centro della sua riflessione una diagnosi estremamente realistica e per nulla rassicurante della situazione della fede nel nostro tempo. «Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata».
La conversione antropologica è fatta di attenzione ai ceti meno abbienti delle desolate periferie urbane, ma anche di un rinnovato e massiccio investimento sulla pastorale del ceto medio e dei giovani
Torna in mente «l’eclissi del senso di Dio» di cui proprio Benedetto XVI parlò in una sua omelia del giugno 2010. E non c’è dubbio che questo scenario di secolarizzazione trovi il suo terreno più fertile nell’ambiente spesso disumanizzante delle grandi città, con i centri praticamente ridotti a luoghi di uffici, negozi e movida, i quartieri dormitorio preda di individualismo mascherato da privacy e le immense periferie ghetto dove quasi sempre a farla da padrone sono degrado, devianza sociale e ogni genere di povertà. Del resto – come ricorda Luca Mazzinghi nel saggio 'Abitare la città', edizioni Qiqajon – la prima volta che la Bibbia parla di una città (Genesi, 4,17) è per far notare che il suo fondatore fu Caino, quasi a connotare subito negativamente ogni agglomerato urbano. In generale poi nella Scrittura la città ha una natura ambivalente. Da un lato Babilonia co- me luogo della ricchezza, dell’idolatria e del peccato, dall’altro la Gerusalemme celeste che appare come il compimento della storia della salvezza.
Al primo aspetto, il panorama di progressiva alienazione urbana, anche cinema e letteratura hanno dato largo spazio, e non da ieri, se solo si pensa a classici come 'Metropolis' di Fritz Lang o a pellicole più recenti come 'Un giorno di ordinaria follia ' e 'Collateral' (in quest’ultima si racconta di un uomo morto sulla metropolitana di Los Angeles di cui ci si accorge solo dopo innumerevoli corse da un capolinea all’altro). Senza dimenticare l’inquietante previsione di 'Fahrenheit 451', la crisi esistenziale, educativa e sociale tratteggiata da Salinger ne 'Il giovane Holden' o, per venire all’Italia, il riso amaro del 'Marcovaldo' di Calvino. Perciò il Papa che alla letteratura e al cinema fa riferimento anche nei suoi discorsi ha certamente ben presenti queste dinamiche quando, nel discorso alla Curia afferma: «Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre 'mappe', di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti». Le stesse parole disse il 27 novembre 2014 ai partecipanti al Congresso internazionale della Pastorale delle grandi città. E non è difficile scorgervi il substrato dell’esperienza pastorale di arcivescovo di una megalopoli come Buenos Aires, poi rifluita nei già citati numeri della Evangelii gaudium (alcune pagine particolarmente belle del magistero 'metropolitano' di papa Bergoglio sono rintracciabili nell’antologia intitolata 'Poveri', pubblicata dall’Editrice Ave con l’introduzione del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga).
C'è infatti nel documento programmatico del pontificato sia l’eco dell’ambivalenza biblica rispetto al tema cittadino, sia l’attenta osservazione di un tessuto sociale che a volte si manifesta nella sua positiva interconnettività, e molto più spesso in laceranti problemi come «il traffico di droga e di persone, l’abuso e lo sfruttamento di minori, l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità». Accade così che accanto a «cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare», vi siano anche «moltissimi 'non cittadini', i 'cittadini a metà' o gli 'avanzi urbani'». Un concetto che Francesco avrebbe ripreso due anni dopo, nel discorso rivolto il 7 febbraio 2015 al Pontificio Consiglio per i Laici, allora guidato dal cardinale Stanislaw Rylko, nel quale parla addirittura della capacità delle nostre città di generare dentro di sé delle 'anti-città', composte di 'nonluoghi', dove si vivono 'non-relazioni' ed esistono gli 'anti-uomini'.
L’annuncio del Vangelo unico antidoto alla "catechesi" tossica dei talk show, dei testi di brutte canzoni e di influencer dell’effimero
È il motivo per il quale la città non può non essere considerata come il luogo privilegiato della nuova evangelizzazione. In un articolo per 'Vatican Insider' del 1° maggio 2015, Francesco Peloso citava il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo emerito di un’altra megalopoli, San Paolo del Brasile, per il quale il processo di urbanizzazione vissuto dalla sua nazione negli anni 50-60 del secolo scorso aveva ridotto il numero della popolazione che si definiva cattolica dal 90 per cento a circa il 60-65 per cento. Si tratta quindi di avviare una seria riflessione per comprendere quali siano le «altre 'mappe'» e gli «altri paradigmi» di cui c’è bisogno per riportare il Vangelo in simili contesti. Il Papa stesso, nel discorso alla Curia Romana ce ne offre le coordinate di fondo, a partire dall’invito ad avere sulla città uno sguardo di fede nutrito dalla Parola (invito ripetuto ieri anche dal cardinale Bassetti). Il 21 dicembre scorso Francesco ha ribadito che «Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei pro-È cessi della storia». E non è superfluo ricordare che proprio nella diocesi di Roma ha avviato quest’anno il piano pastorale «Abitare con il cuore la città» e che per gli esercizi spirituali del 2019 ha chiamato padre Bernardo Gianni, l’abate di San Miniato, il quale, facendo leva su un verso di Mario Luzi – «La città degli ardenti spiriti» – ha quasi per converso disegnato una città che si accende di speranza, di desiderio, di attesa. Una città che vince la stagnazione, la rassegnazione, l’individualità e riscopre un fuoco antico.
In fondo la «mappa» e «il paradigma» nuovi che Francesco continua a indicarci per la nuova evangelizzazione sono qui: nel ricordarci che il Dio dell’immensità incarnata è lo stesso che abita ancora le nostre città. E che la Chiesa tanto più sarà in uscita, quanto più saprà rammendare in suo nome il tessuto delle relazioni sociali e interpersonali sfilacciate dall’individualismo ateo. È in altri termini, come ha acutamente colto il teologo Giuseppe Lorizio su queste stesse pagine, quella che papa Bergoglio chiama «la conversione antropologica», fatta certamente di attenzione ai ceti meno abbienti delle desolate periferie urbane, ma anche a un rinnovato e massiccio investimento sulla pastorale del ceto medio e dei giovani, due mondi che – bisogna ammetterlo – richiano di diventare terreni tra i più impermeabili alla fede e che la Chiesa del nostro tempo ha quasi del tutto abbandonato alla 'catechesi' altamente tossica della tivù spazzatura, dei talk show, dei testi osceni e violenti dei rapper, dei guru del pensiero radicale e di effimeri influencer senza arte né parte.
Non deve sfuggire, infine, come nel discorso alla Curia Romana si parli anche dei mass media e di «una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri». Promuovere la nuova evangelizzazione, sembra suggerire il Papa, significa dunque ripartire dal restauro dell’architettura degradata delle relazioni umane malate di indifferenza e isolamento. E il Vangelo, con le sue risposte di senso, anche e soprattutto trascendenti, è l’unica possibilità di avviare questo gigantesco piano di risanamento delle nostre città.