Tra i contributi di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI all’intelligenza della fede e alla vita dei fedeli e della Chiesa che in questi giorni vengono delineati da autori di diverse scuole di pensiero e azione, risaltano i suoi interventi nelle questioni antropologiche ed etiche della vita, della relazione, della famiglia, della salute e delle biotecnologie. Interventi giudicati come lucidi e ragionati anche da chi non era d’accordo sulle premesse, i fondamenti e le conclusioni.
Un interlocutore, Ratzinger, che molti avrebbero voluto ai propri tavoli della bioetica e degli studi sulla famiglia: chi per alimentare alla sua riflessione le proprie argomentazioni e irrobustirle ragionevolmente, chi per esercitarsi in un contradditorio leale, fecondo, niente affatto scontato nel suo esito. Come mi confidò un docente di medicina e bioeticista, con posizioni lontane da quelle cattoliche, «non c’è gusto né utilità a discutere con chi non usa la ragione e si muove solo in difesa. È come affrontare sul campo di calcio una squadra senza talento né grinta: se la vittoria sull’avversario è scontata, non c’è soddisfazione vera né progresso nelle proprie capacità di buon gioco».
Possiamo raccogliere gli insegnamenti di Benedetto XVI attorno alle cifre dell’«amore nella verità» e della «libertà nella verità» (invero, le due stanno insieme e la separatezza è solo formale: l’amore genuino si dà nella libertà e la libertà suprema è quella che si determina nell’amore). La scelta può apparire arbitraria e perfino provocatoria a quanti hanno visto nel cardinale e nel papa Ratzinger«Der Herr der Verboten (il signore del proibito). Ma questa è solo una caricatura superficiale o pregiudiziale. In lui, il “sì al bene” precede, fonda e supera il “no al male”, così che la positività ultima della vita personale e comunitaria rende ragione delle decisioni che implicano una rinuncia. Si desiste dal male solo quando si insiste sul bene.
Firmando la Donum vitae (1987) come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger inaugurò un nuovo capitolo del magistero dedicato al «rispetto della vita umana nascente» e «alla dignità della procreazione» che tocca la complessa questione degli interventi delle biotecnologie mediche nello sviluppo dell’embrione umano e nella fertilità di coppia, assumendo – per quest’ultima – la duplice e inscindibile prospettiva antropologica dell’atto coniugale (unitiva e procreativa) della Humanae vitae di Paolo VI, ma già presente in Giovanni XXIII: «La trasmissione della vita umana è affidata dalla natura a un atto personale e cosciente. […] È per questo che non si possono usare mezzi e seguire metodi che possono essere leciti nella trasmissione della vita delle piante e degli animali» (Mater et magistra, III). Una prospettiva fatta propria anche da Giovanni Paolo II, di cui il cardinale Ratzinger fu strettissimo collaboratore.
Il principio fondamentale che presiederà non solo ai giudizi sulle manipolazioni del concepito (produzione in vitro tramite fertilizzazione o clonazione, sperimentazione, produzione di cellule staminali embrionali, diagnostica invasiva, selezione, crioconservazione e distruzione) ma anche a quelli sugli interventi diagnostici, terapeutici e sperimentali su feto, neonato, bambino e adulto, venne già formulato nella Donum vitae: «Ciò che è tecnicamente possibile non è per ciò stesso moralmente ammissibile» (Introd., 4). Una negazione che ha la sua radice nell’affermazione che «la vita fisica […] non esaurisce certamente in sé tutto il valore della persona né rappresenta il bene supremo dell'uomo che è chiamato all’eternità. Tuttavia ne costituisce in un certo qual modo il valore “fondamentale”, proprio perché sulla vita fisica si fondano e si sviluppano tutti gli altri valori della persona» (Ibid.). La libertà della vita è davvero tale quando abbraccia la verità della persona.
L’amore autentico uomo-donna può essere custodito solo nella sua “originalità-verità” divina. Per questo «La Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna» e il suo «no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore» (Discorso, 2013).