Le onde restituiscono corpi senza vita alle coste della Libia, ma l’Europa resta in alto mare dopo il vertice dei 28 (ormai quasi 27) sui migranti. Era inutile farsi illusioni solidaristiche (anche solo intereuropee), vista e considerata la distanza di posizioni e di interessi tra le cancellerie dell’Unione sull'accoglienza e la redistribuzione dei richiedenti asilo. Alcune importanti decisioni interne sono state differite nei 12 punti votati all'unanimità dai capi di Stato e di Governo della Ue, mentre altre adottate sul controllo dei confini destano perplessità operative ed etiche.
È certo un dato positivo che in un preambolo i leader riaffermino la volontà di unità dopo i motivati timori di disgregamento. Così come lo è l’intenzione di prevenire un ritorno ai flussi incontrollati del 2015 e quella di ridurre la migrazione illegale gestita dai trafficanti. Ma se l’Italia, almeno sulla carta, può dire di «non essere più sola», in realtà sulla redistribuzione dei profughi e sulla revisione del regolamento di Dublino – punti chiave – si è restati al palo. Le conclusioni del Vertice prevedono, infatti, che il ricollocamento di chi ha diritto alla protezione internazionale, come chiesto dai 4 Paesi del patto di Visegrad, avvenga sulla base della volontaria adesione degli Stati. Insomma, chi arriva in Italia o in Grecia o in Spagna continuerà a rimanerci, perché se i ricollocamenti obbligatori sono stati finora fallimentari, difficile essere ottimisti su quelli volontari. Così i 4 Paesi orientali della Ue, che il ministro dell’Interno Salvini, considera alleati strategici, possono continuare nella politica di “accoglienza zero” infischiandosene della solidarietà all’Italia. Per giunta, come volevano Francia e Germania, non si tocca per ora “Dublino”, lasciando i richiedenti asilo nel Paese di primo approdo. Cioè le nazioni mediterranee di prima linea, Italia in testa. E quando verrà affrontato di nuovo il tema, si voterà all’unanimità e non a maggioranza qualificata.
Un successo, invece, l’hanno ottenuto Francia, Germania e Austria grazie al blocco dei movimenti secondari, ovvero dell’arrivo sul loro territorio di chi è sbarcato in Italia e vuole raggiungere un Paesi terzo dove ha congiunti, e questo indipendentemente dal suo diritto alla protezione internazionale. Certo, il principio per cui “chi sbarca in Italia, sbarca in Europa” caro al premier Conte è stato formalmente accolto, ma per ora poco cambia perché sarà la Commissione a individuare in un tempo non specificato Paesi terzi dove aprire centri di identificazione di profughi e migranti. Procedura complessa, mentre in Libia decine di migliaia di persone premono per partire per sfuggire a torture e violenze.
Gli aspetti più preoccupanti del documento sono sul versante del salvataggio di vite umane in mare e sull’esternalizzazione dei confini. I due perni su cui si basa l’accordo sono infatti la fiducia piena alla Guardia costiera libica nonostante l’esplicita condanna e le sanzioni del Consiglio di sicurezza Onu a uno dei suoi capi in quanto a capo del traffico di esseri umani. Oltre ai dubbi sulla commistione coi trafficanti di questo corpo, desta interrogativi anche la sua effettiva volontà di salvataggio, come denunciano molte testimonianze di profughi e come dimostra il naufragio di ieri in cui sarebbero morte 100 persone di ogni età al largo di Tripoli. Ma c’è di più: non si può e non si deve tacere che la Ue ha scelto di impedire a persone che hanno diritto di chiedere asilo nel suo territorio di fuggire da uno Stato in disfacimento che non ne riconosce i diritti e dove vengono sequestrate, imprigionate e torturate per ottenere il pagamento di riscatti.
Prosegue inoltre la demonizzazione delle Ong, accusate in blocco, reiteratamente e – a tutt’oggi – senza prove di commettere reati e di essere addirittura «vicescafisti».
È opportuno ricordare che nel 2014 le organizzazioni umanitarie non governative, che già aiutano profughi e migranti “a casa loro”, iniziarono a operare anche nel Mediterraneo per supplire alla latitanza delle navi europee dopo la fine dell’Operazione Mare Nostrum. Se nessuno le sostituisce, si rimettono le lancette al 2013, quando vi fu la strage nel naufragio di Lampedusa. Il costo in termini di vite umane che si rischia di pagare è inaccettabile. I leader hanno anche concordato di trasferire 500 milioni di euro dal Fondo europeo di sviluppo per rifinanziare il trust Fund per l’Africa. È un colpo al principio “aiutiamoli a casa loro”: il sospetto, speriamo infondato, è che ci si prepari a finanziare regimi oppressori (Sudan ed Eritrea, per fare esempi non casuali) perché sigillino i confini. Così la Ue che si deresponsabilizza e si chiude calpesta i valori fondativi, tradendo se stessa. Per ritrovarsi, guardi all'esperienza ancora piccola, ma concreta, dei “corridoi umanitari” aperti – grazie a un’iniziativa ecumenica promossa dalla Comunità di Sant'Egidio – dalla Chiesa cattolica italiana e dalla Chiese evangeliche d’intesa con il Governo. Sono lì a dimostrare che la strada dell’ingresso legale e sicuro per persone vulnerabili e costrette alla migrazione è percorribile ed efficace. Anche in questo tempo di alimentate paure e di cieche chiusure.