C’è una domanda tanto taciuta quanto decisiva ai fini di una migliore comprensione della fase storica che ci accingiamo a vivere (o che forse stiamo già vivendo). Aleggia inesplorata ai margini del dibattito connesso al nascente corso geo-strategico e geo-politico, alimentato dalla convergenza di interessi – per alcuni versi inattesa e ancora tutta da decifrare nei suoi molteplici profili potenziali – tra i principali esponenti della tecno-digito-crazia globale (Musk, Zuckerberg, Bezos & Co.) e Donald Trump. La domanda si potrebbe riassumere così: se è vero – come è vero – che l’Europa è considerata (e, per certi versi, effettivamente è) subalterna nei processi di competitività e di creazione di ricchezza associati al crescente sviluppo delle nuove economie digitali ad alta marginalità, oltre che nel più ampio quadro degli equilibri strategici, perché il Vecchio Continente suscita tanto interesse (e timore) nella nuova nascente élite globale?
Le tradizioni culturali, sociali, politiche, morali e spirituali di cui l’Europa è profondamente innervata costituiscono l’ultima barriera che l’Occidente sviluppato frappone alla definitiva affermazione – o meglio, supremazia – di un modello di società e sviluppo eminentemente artificiale. In questo modello, l’Umano, con tutte le sue molteplici dimensioni spirituali, etico-morali, relazionali, emotive trova sempre meno spazio di cittadinanza, fino quasi a scomparire. Da tempo, infatti, è in corso un preoccupante (e apparentemente inarrestabile) processo finalizzato a rendere artificiali i sistemi economici e, a seguire, la moneta, i beni, i prodotti, il lavoro, i fattori produttivi, i bisogni, le comunità, la famiglia, l’informazione, la democrazia, le passioni…in una parola: l’Umano. E, a ben vedere, anche il Divino.
Questa traiettoria richiede persino il sacrificio della vita stessa della terra e dell’ambiente. In questo inferno artificiale, l’Umano naturale si smarrisce e si perde, poiché non è stato creato per l’artificialità, bensì per portare a compimento la propria natura. Spostare il fine naturale, sostituendolo con un fine artificiale, significa porre l’umanità tutta in una schiavitù dalla quale non c’è liberazione. Eppure, oggi tutto l’Umano appare sacrificato a questa artificialità. La civiltà artificiale ha reso tutto aleatorio. È la morte dell’Umano.
Tutto questo non sta avvenendo per caso. L’ideologia “Tescreal” (transumanesimo, estropianesimo, singolaritanismo, cosmismo, razionalismo, altruismo efficace e lungotermismo) rappresenta un patchwork informe e confuso di pseudofilosofie e ideologie spiritualistiche post-moderne, un “vitello d’oro declinato” in chiave tecnocratica. In essa si struttura e si diffonde la nuova “religione dell’artificiale e dell’artificialità”, sospinta dai suoi indefessi sacerdoti. Questo fenomeno – da quanto ci è dato intuire – subirà una forte accelerazione nei prossimi anni. In questo orizzonte distopico di futuro si ricongiungono, quasi naturalmente, le visioni suprematiste ed egemoni di alcune oligarchie tecno-finanziarie con quelle della nuova leadership politica americana. La presenza dei principali ceo tecnologici al giuramento di Trump è stata una testimonianza plastica del fenomeno in corso.
L’Europa, che oppone a questo processo non solo una timida resistenza normativa, ma anche una resistenza culturale profonda e radicata, diventa inevitabilmente un terreno di conquista: tecnologico da un lato (vedi Starlink) e politico. Diverse autorevoli voci hanno iniziato a delineare lo scenario politico ed economico di contesto all’interno del quale questa “dottrina informale” sta progressivamente perfezionandosi, riportando ad unum sensibilità e interessi diffusi. Lo scenario culturale, tuttavia, è ancor più decisivo: precede e segue ogni altra dimensione. Ed è urgente prenderne atto. Riconoscendo e facendo emergere il filo nascosto che lega questa inattesa e interessata convergenza di prospettive che intende ridefinire radicalmente gli equilibri, le ontologie e le morfologie dell’umanità che verrà.
Si tratta, infatti, di un vero e proprio scontro di civiltà, i cui esiti condizioneranno i secoli a venire. Forse non è un azzardo sostenere che è in gioco una sostanziale revisione del concetto di Stato, di democrazia, di società e di umanità per come li abbiamo finora conosciuti. L’Europa può e deve farsi trovare pronta, profittando di questa congiuntura per rilanciare la propria leadership globale. Se il piano per la competitività di Mario Draghi indica una possibile direzione, l’ulteriore evoluzione unitaria della governance istituzionale rappresenta invece una necessità. L’Italia, che dell’Unione Europea è Paese fondatore, potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo di necessaria sintesi, facendo leva – senza subalternità – sulle buone relazioni atlantiche (con la nuova amministrazione Trump e con la sua “corte” informale) ma soprattutto sul proprio radicamento europeo e mediterraneo (dunque umanistico). Si tratta di costruire il futuro. Un futuro buono. Un futuro-antico.