Gentile direttore,
“Blue Jasmine”, l’ultimo film di Woody Allen, è – a mio parere – una splendida metafora della decadenza e del declassamento sociale. L’Italia, come la protagonista Jasmine. Prima obnubilata da pensieri di ristoranti pieni e da bicchieri mezzi colmi (come l’inespressiva protagonista, inebetita dalle feste nel jet set di New York) e infine costretta a mordere la polvere alla ricerca disperata di un difficile riscatto per strade ignote (come Jasmine in una casa suburbana della sorella proletaria a San Francisco), ma finalmente consapevole di se stessa. Miglior specchio, e più impietoso, il grande regista newyorchese non avrebbe potuto regalarci.
Teresio Asola, Torino
Trovo interessante la sua lettura, gentile signor Asola. Nell’elegante e decaduta “Jasmine” di Woody Allen si può effettivamente riconoscere un po’ di quella condizione da “vittima e carnefice” anche di se stessa che purtroppo sperimenta pure la nostra Italia, grande e creativo Paese umiliato dal debito di denaro e di fiducia che si è stoltamente caricato su spalle e futuro. Non saprei dirle, però, se infine la protagonista dell’ultimo (intenso eppure, a mio parere, non pienamente riuscito) film del cineasta americano abbia davvero conquistato la «consapevolezza di sé» necessaria per ridare senso ed equilibrio a un’esistenza troppo a lungo risolta tra formale agiatezza, altezzosa noncuranza e accomodante menzogna. Ma, come ho scritto in più occasioni, so per certo che questa «consapevolezza» – che è ritrovato senso della misura, della bellezza, della giustizia, del bene e del male – è ciò che noi italiani dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli. Penso che sia l’unico debito che non possiamo permetterci di non onorare.