Elisabetta Sturiale, Bergamo
Il fenomeno da lei denunciato, gentile signora Sturiale, mi giunge nuovo, ma, a rifletterci anche solo un po’, del tutto plausibile. L’acredine e la reattività virulenta nei confronti della Chiesa, alimentata da esponenti e gruppi intellettuali e politici agevolmente identificabili, con sbocchi sui giornali, in tv ma anche nei bar, per quale motivo dovrebbe arrestarsi all’esterno delle mura scolastiche? Pensiamo alle polemiche fomentate dalle falsità e dalle distorsioni del libro 'La questua', rintuzzate con abbondanza di dati e argomenti dal nostro 'La vera questua', che però non ha certo goduto del battage mediatico di cui ha usufruito il testo di Curzio Maltese. E così la malevolenza si diffonde sempre più. Di fronte alla situazione da lei denunciata mi pare che l’arma più efficace sia ovviamente svolgere bene, con impegno e serietà, il proprio lavoro - e quanto rileva dai suoi allievi prova che lei non ha nulla di cui rimproverarsi - : ciò sottrae ogni alibi al pregiudizio e alla cattiveria di chi si oppone. Ma la prepotenza va combattuta non solo con la testimonianza privata, ma anche con le armi della legalità, e quindi, siccome la denigrazione di un collega e di una materia di insegnamento è atto che infrange palesemente la deontologia professionale, prima va richiamato l’interessato e, se questi persevera, bisogna rivolgersi al responsabile dell’istituto per pretendere correttezza. Niente di meno e niente di più. Lo si deve a se stessi, ai ragazzi e alla serietà dell’Insegnamento di Religione cattolica.
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