Equiparare i migranti in transito o in arrivo in Italia ai terroristi è un errore anche se in Occidente c’è chi si sente sotto attacco e le strette securitarie che limitano la libertà di movimento – ci auguriamo temporanee - sembrano la tassa da pagare alla sicurezza. Sgomberiamo subito il campo. Non ha senso, anzi è controproducente, confondere la causa palestinese con Hamas, inneggiando nelle manifestazioni ai terroristi che vigliaccamente il 7 ottobre non hanno provato pietà per i civili inermi palestinesi o israeliani, di qualsiasi età o sesso. E neppure passare dalla critica legittima al governo israeliano al sostegno di aberranti tesi antisemite udite in alcuni cortei.
Ma l’ansia, fattore dominante di questa epoca di cambiamenti strutturali, amplificata da media e social, non deve impedirci di guardare ai fatti – argomenti testardi – e ragionare sui numeri. In 15 anni di sbarchi pressoché ininterrotti sulle coste italiane, solo due persone su centinaia di migliaia sono risultati jihadisti. Oltre ad Abdeslam Lassoued, il killer tunisino dei due svedesi ucciso a Bruxelles, sbarcato a Lampedusa nel 2011 da un barchino e ad Anis Amri, il killer dei mercatini di Natale berlinesi nel 2016, anch’egli tunisino, era sbarcato lo stesso anno nell’isola pelagica. E non vi sono prove che la loro radicalizzazione sia avvenuta in Italia, anzi Lassoued pare assimilabile al profilo di “lupo solitario”. Non è da escludere, che altri ne siano arrivati, ma pare improbabile, visti i rischi mortali del viaggio nel Mediterraneo centrale. Meglio per i jihadisti investire sulla radicalizzazione in carcere o sul web, i due canali principali di indottrinamento che risultano all’intelligence italiana, finora vigile efficace.
Alla luce dei fatti anche gli annunci di sospensione temporanea degli accordi di Schengen alla frontiera - quella orientale, per giunta, dove al momento non si riscontrano numeri elevati di tunisini - da una parte rassicurano con l’attività preventiva, dall’altra rischiano di alzare il solito muro di diffidenza e sospetto nei confronti dei migranti di fede islamica. Ma uno degli obiettivi del vile attacco di Hamas del 7 ottobre scorso era proprio rinfocolare lo scontro tra Islam e Occidente, riportando indietro l’orologio all’attentato del 2001 alle Torri gemelle e alle tesi dello “Scontro di civiltà”. Se per esempio iniziassimo a respingere indiscriminatamente alla frontiera chi ha diritto di chiedere asilo in Italia e in Europa in violazione delle norme internazionali, non avremmo dato prova di forza, ma l’avremmo data vinta al disegno di divisione dei terroristi. Alla frontiera orientale, infatti, tre quarti dei migranti sono afghani in fuga da jihadisti e talebani e la maggior pare di loro tocca in Italia una tappa della lunga rotta balcanica verso il Nordeuropa.
Semmai le emergenze da contrastare in Italia sono l’accoglienza dei profughi e la povertà dei lavoratori regolari e delle loro famiglie, nemiche dell’integrazione e brodo di coltura di potenziali radicalizzazioni delle seconde generazioni. Investire sulla scuola evitando classi ghetto e le disparità educative tra quartieri della stessa città ben denunciate a Save the Children vale come e più dei controlli di sicurezza. Favorire l’accoglienza diffusa e l’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati è lungimirante. E avviare la riforma della cittadinanza, da concedere con il cosiddetto ius scholae al minore che ha compiuto due cicli scolastici nel nostro Paese dovrebbe diventare una priorità bipartisan.
Sulla questione sociale dei migranti si gioca infatti la sicurezza del nostro futuro. Non dobbiamo mai rinunciare ai valori di democrazia, tolleranza e rispetto della nostra Costituzione. Sono e devono restare la bussola e la forza tranquilla, soprattutto dell’Italia. Che ai fanatici e ai sedicenti “duri” può portare l’esempio di Roma, la città del Pontefice, oggi di quel papa Francesco che ha scritto l’enciclica “Fratelli tutti” e suggerito i quattro verbi per i migranti – accogliere, proteggere, integrare, promuovere – su cui edificare un futuro di pace. Proprio a Roma, cuore del cattolicesimo, dal 1995 sorge la Grande moschea progettata dall’architetto Paolo Portoghesi, frutto di una politica saggia e inclusiva, che indica la via da seguire.
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