giovedì 10 ottobre 2024
Senza giudicare il valore estetico dell'opera che tanto sta facendo discutere, si chiede di porre più attenzione alle emergenze di cui soffre la città
L'installazione di Gaetano Pesce a Napoli

L'installazione di Gaetano Pesce a Napoli - Reuters

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Un artista ha il diritto di esprimersi come meglio crede. Nel momento in cui sente la fata creatrice corrergli incontro non può e non deve metterle la museruola. L’arte deve – dovrebbe – per sua natura essere aliena da ogni preoccupazione di dover piacere o meno agli altri e alla critica. L’artista scrive, dipinge, crea, innanzitutto per sé stesso. Non può non farlo, è costretto a obbedire. La creatura che viene fuori dal suo estro gli appartiene, è sua, è parte della sua vita. Nel momento della separazione, l’artista soffre e gioisce allo stesso tempo.

Ognuno di noi nasconde dentro di sé un poeta, un pittore, un artista, capace di cantare, rinnovare, creare. Alzi la mano chi non ha scritto, almeno una volta nella vita, un verso di amore alla ragazzina cui deve il primo batticuore, o alla mamma al cui seno si nutriva.

Per quanto mi riguarda, continuo a pensare che la più bella opera d’arte sia e resti l’essere umano; davanti a un neonato c’è da restare incantati.

Un artista deve essere pronto ad accettare applausi e critiche; premi e sconfitte. La sua opera – per un motivo o per un altro - potrebbe non piacere ai contemporanei. Magari lo sarà domani, ma oggi proprio no. Anche questo fa l’arte. Anticipa i tempi, commenta il presenta, giudica o apprezza il passato, denuncia l’ipocrisia, spinge in avanti. O, semplicemente, ammalia.

Certo, non sempre quello che sta nella testa dell’artista viene poi recepito nella giusta maniera. Non sempre il progetto arriva alla perfetta esecuzione. L’artista non deve temere niente, deve essere superiore a tutto, deve andare per la sua strada, senza cercare di convincere. L’opera d’arte deve saper parlare da sé stessa.

A Napoli, in piazza Municipio, dopo la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, tanto criticata dai napoletani, da qualche giorno fa bella mostra di sé un grande pulcinella stilizzato; almeno questo sarebbe stato nelle intenzioni di Gaetano Pesce, lo scultore e architetto, deceduto a New York lo scorso mese di aprile, che l’ha ideato.

L’opera denominata “Tu si na cosa grande” ha scatenato il finimondo. I commenti – quasi tutti negativi – si sprecano sui social, tra la gente comune e negli articoli delle varie testate giornalistiche. L’ironia dei napoletani – e non solo – si è sbizzarrita. Ci sarebbe da morire dalle risate se non fosse per qualche particolare che diremo.

Giovedì mattina - a Napoli per motivi pastorali - ho fatto un salto in piazza per poterla vedere da vicino. Certo, non pretendevo di essere colpito dalla “Sindrome di Stendhal” ma nemmeno avrei immaginato di rimanere del tutto indifferente. Se non fosse stato per il gran parlare che se ne sta facendo, al limite, avrei chiesto all’amico che mi stava a fianco: «Di che si tratta?». Soprattutto in quel luogo unico al mondo nel quale ovunque volgi lo sguardo vedi bellezze mozzafiato. Bello il mare e il Vesuvio; belli i palazzi antichi, il Maschio Angioino e, in lontananza, San Martino.

A me non piace troppo questo pulcinella a forma – volutamente? – fallica, che tanto sarcasmo sta generando. Ma chi sono io per poter decidere ciò che è bello e interessante e ciò che non lo è? Avrei fatto spallucce e passato oltre, come tante altre volte alla vista di opere, diciamo, “troppo originali”.

La cosa che, invece, mi angustia è che quel “coso” che non dice niente a me, e, a quanto pare, nemmeno ai miei concittadini, sia costato quasi duecentomila euro. Eh, no, proprio non ci siamo. Napoli, oltre alle bellezze di cui va fiera – tutte, ma proprio tutte, ricevute in dono dai nostri antenati - ha tante criticità da sanare. Ci sono mille cose che non vanno: dal mondo della sanità, alle buche per le strade; dai marciapiedi invasi dalle erbacce, al selciato dissestato di tante arterie cittadine. E non sto parlando di strade secondarie e periferiche, ma, per esempio, della centralissima via Toledo. Tralascio volutamente i poveri e i senzatetto che affollano la stazione centrale e tante altre zone.

Mi chiedo, quindi, se non fosse stato il caso – nulla togliendo all’arte – di porre più attenzione alle emergenze di cui soffre la città. Tutto qua. Gli amministratori che decidono come spendere il denaro pubblico devono ricordare di farlo come ogni buon padre di famiglia: prima dà da mangiare e assicura un tetto ai figli, poi, eventualmente, li porta alle giostrine.

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