Caro Direttore, mercoledì alla mensa della Caritas era rimasto un po’ di sugo pronto per condire la pasta e ho deciso di portarlo ad una famiglia di vecchietti che so in particolare difficoltà. La moglie riesce ancora ad andare a fare la spesa e, grazie alla pensione di lui che era impiegato in uno dei carrozzoni regionali poi andati in malora, riescono a vivere dignitosamente pagando anche un affitto di casa abbastanza alto. In quella famiglia il vero problema è lui, perché non riesce più ad alzarsi e spera sempre nell’arrivo di qualche figlio (ne ha tre, tutti maschi) per alzarsi e essere lavato. La moglie mi ha detto di non avvicinarmi troppo al marito perché faceva cattivo odore in quanto da qualche giorno il figlio a cui tocca in questo mese accudire il padre non si fa vedere. Ovviamente ho chiesto spiegazione di questo ritardo del figlio che, tra l’altro – ma non ne sono sicuro –, dovrebbe avere un lavoro part time, e quindi ha abbastanza tempo libero, e la risposta mi ha raggelato. La signora, con molta dignità, ma decisa a vuotare il sacco, mi disse che ha provato più volte a chiamarlo al telefono e la risposta è stata sempre la stessa: «Se non mi paghi, non vengo» ! E dal momento che i soldi della pensione per questo mese sono già finiti, il povero marito resta nel letto sporco in attesa che arrivi il vaglia postale. Crudeltà mentale e di cuore! Il padre giace su un letto sporco, solo perché il figlio vuole essere pagato per alzarlo e pulirlo! Non racconto come è andato finire il tutto. Volevo soltanto far riflettere sul tipo di umanità che si muove ogni giorno attorno a noi. Non ci sarebbe niente di che meravigliarsi se un giorno leggessimo che il giovane ha commesso qualche rapina, uccidendo un povero tabaccaio o benzinaio. Cuori così sono capaci di tutto. Di tutto il male possibile.
Vincenzo Noto direttore della Caritas di Monreale (Pa)
È un racconto davvero agghiacciante il suo, caro don Vincenzo, eppure non stupisce. Credo che ciascuno, nel giro delle proprie conoscenze o per la frequentazione di qualche reparto ospedaliero di lungodegenza o una di casa di riposo, abbia ascoltato confessioni sconfortate di abbandono, ingratitudine, attenzioni finalizzate solo all’interesse più bieco e vile proprio perché perseguito tradendo gli affetti più cari. Quella povera madre subisce la prova più atroce che possa capitare a un genitore, sperimenta « qual dolore tagliente, più del morso d’un serpente sia un ingrato figlio » ( W. Shakespeare, « Re Lear » , 1,4). Cosa può indurre tanta grettezza, insensibilità, cattiveria? Certo, il riferimento al grande scrittore inglese del ’ 500 dimostra come non siamo di fronte a un fenomeno tutto e solo moderno, ma le dimensioni oggi toccate paiono di dimensioni inusitate, forse anche per il riverbero che ottengono dai media i frequenti esiti drammatici. E colpisce il fatto che l’episodio da lei raccontato accada in una terra nella quale i legami di sangue sono sempre stati considerati tenacissimi, caratterizzati da una « sacralità » assoluta, indiscutibile... Sono convinto al pari suo, che chi arriva a tali bassezze sia già pronto per qualsiasi altra infamia e anche per il crimine. Non vedo difesa verso questi comportamenti: si può solo cercare di prevenire, facendo del nostro meglio sul terreno educativo e della testimonianza perché risalti che la « vita buona » non è cosa solo per « anime belle » non capaci di reggere la durezza del mondo, ma l’unica via in grado di procurare serenità e appagamento anche nelle avversità.