Inginocchiarsi davanti a un perché
sabato 22 maggio 2021

Vivere accanto a un ponte monumentale alto settanta metri, conosciuto anche come il 'ponte dei suicidi', rende tristemente familiare la notizia di chi decide di porre fine alla sua vita volando giù dal suo parapetto. Familiare sino al punto di scriverne per un giornale come 'Avvenire' che, secondo un antico e sempre più tradito codice deontologico dei cronisti, dei suicidi non dà conto se non quando è assolutamente indispensabile.

Il ponte è ad Ariccia e le amministrazioni comunali di qui, nel corso degli anni, hanno posto delle reti d’acciaio per porre fine a questo esercizio, purtroppo drammaticamente frequente, e per fortuna molti degli aspiranti suicidi, grazie proprio alle reti, si sono all’ultimo decisi a cambiare idea. Molti, però, la propria idea non la cambiano. E la presenza delle reti rende ancora più esplicito, agghiacciante, il loro desiderio di abbandonare questo mondo, perché li costringe a un gesto difficile, articolato, che spesso prevede un primo volo, di tre, quattro metri, dal parapetto alle reti in questione. Ma tutto questo non li scoraggia. Ieri mattina, attorno alle 11,30, ho percorso il Ponte di Ariccia e mi è bastato poco per capire che quell’esercizio terribile si era appena ripetuto.

Molte le persone affacciate, una volante della stradale ancora sul punto del gesto. Ho proseguito con la mia macchina, preso da ordinarie commissioni, ma d’abitudine il punto interrogativo è rimasto a pulsare. Chi questa volta? Di solito i suicidi vivono nei paesi limitrofi ad Ariccia, ma in alcuni casi sono arrivati apposta da più lontano, anche da Roma. 'S’è buttato qualcuno dal ponte'. Appena rientrato a casa mia moglie, con i tamtam dei vari servizi di messaggistica, mi ha confermato quel che già sapevo, che non speravo ovviamente, ma è questione d’esperienza. Sul web, attraverso i giornali locali, abbiamo scoperto l’identità dell’ultimo volato via. Il nome è sconosciuto. Non l’età.

Ma ad ammazzarsi, ieri mattina, buttandosi dal ponte monumentale sito nel comune di Ariccia, è un ragazzo, un ragazzino, di quattordici anni. Di Genzano di Roma, uno dei paesi confinanti con Ariccia. Resta, a qualche ora di distanza dal fatto, una specie di stordimento, di illogicità angosciata, il fatto di avere un figlio della stessa identica età piega la mente a facili immedesimazioni, sovrapposizioni.

Le notizie, ancora molto frammentarie, parlano di un adolescente forse in crisi per la scuola e il Covid-19. Forse. Le informazioni arriveranno, il tempo di poche ore, qualche giorno. Vivere in una provincia italiana, nel Paese dei paesi, significa prima o poi avere contezza di tutto. Ma non è un nome e un cognome, un affresco familiare, eventuali traumi e problemi più o meno occultati, a mancare. Quello che manca ora è un volto. Vederlo negli occhi. Chiedere alla sua immagine, alle fotografie che presto o tardi compariranno, il motivo dietro tutto. Perché? Lui come ogni altro nel piccolo, ma sempre troppo grande, esercito dei suicidi.

Perché? Quale dolore vi ha chiamato per nome, vi ha costretto a rispondere all’appello? Non ci saranno risposte. Noi tutti siamo domatori di interrogativi, spesso brucianti. I genitori, i suoi familiari, se li porteranno in seno per sempre. Se le risposte non ci riguardano, allora inginocchiamoci di fronte alle domande. Ai tanti perché non corrisposti. Come quello che insegue un ragazzo saltato nel vuoto.

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