Caro direttore,
torno a scriverle perché finalmente è finito un incubo infernale durato più di venti giorni. Sono stata sbattuta sulle pagine dei giornali come il “mostro omofobo di Moncalieri”: una cosa che mi ha particolarmente ferita. Ho vissuto giorni terribili. Facevo fatica persino a uscire di casa, e quelle poche volte che mi azzardavo a farlo, venivo additata come l’insegnante «omofoba» del giornale. Della mia presunta «omofobia» si è persino parlato alla trasmissione Rai “La vita in diretta”, seguita da milioni di telespettatori. Ho appreso la notizia della fine di questo incubo dai giornali. Il preside non ha ritenuto opportuno avvisarmi prima, ma non voglio far polemica su questo. Ciò che mi ha più spaventato durante questo triste periodo è stata la politica. Ho saputo che cinque deputati avevano presentato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione contro di me, e che anche il presidente della Commissione Istruzione del Senato aveva presentato un’interpellanza urgente, definendo il mio operato «intollerabile». Ho saputo che l’assessore regionale alle Pari Opportunità, Monica Cerutti, aveva fatto aprire una procedura di controllo presso il Centro regionale contro le discriminazioni a mio carico, che il consigliere comunale radicale di Torino, Silvio Viale, aveva chiesto che io venissi sottoposta a «corso di aggiornamento» e che il vicesindaco di Moncalieri aveva invocato contro di me «efficaci provvedimenti». Posso assicurarle che tutto questo spaventa una persona normale, non certo abituata alla ribalta mediatica. E io mi sono spaventata, anche se non mi sono fatta intimidire. Certamente non mi è piaciuto finire sui giornali, soprattutto per come alcuni di essi hanno “manipolato” la verità.
E tuttavia, in questo duro periodo, non sono stata sola. Oltre ai miei cari, devo ringraziare con tutto il cuore lei, direttore, e i suoi colleghi: “Avvenire” è stato l’unico giornale a non unirsi al coro del crucifige mediatico e, anzi, a ingaggiare una campagna per chiarire i fatti, in mia difesa. Devo anche ringraziare i Giuristi per la Vita, e in particolare il loro presidente avvocato Gianfranco Amato, che non solo mi ha assistito legalmente e mi ha consigliata da un punto di vista professionale, ma mi è stato anche vicino dal punto di vista umano. Ringrazio pure le tantissime persone che hanno avuto il coraggio di esprimere pubblicamente la loro solidarietà nei miei confronti. Esse rappresentano una speranza rispetto ai tentativi di intimidazione di quella che papa Francesco ha magistralmente definito come la «dittatura del pensiero unico». Voglio anche ringraziare tutti gli studenti che hanno confermato la verità di quanto accaduto: non oso neppure pensare che cosa sarebbe successo se si fossero messi d’accordo ad avallare le tesi false del loro compagno. Ma anche gli altri miei studenti che mi sono stati vicini e pure i miei colleghi insegnanti, che hanno condiviso con me questi giorni bui.
Questa vicenda mi ha insegnato molte cose. Ho capito come sia facile finire vittima della cosiddetta “macchina del fango” mediatica; cosa si provi quando si è vittima di una “caccia alle streghe”; come sia facile manipolare a fini ideologici e falsificare ciò che si afferma; come tante persone che ritenevi amiche possano all’improvviso sparire nel momento del bisogno perché intimidite da questa nuova e pericolosa forma di dittatura. Ma nello stesso tempo ho avuto modo di conoscere nuove amicizie, persone che non immaginavo potessero essere così interessate alla mia sofferenza di questi giorni.
Ora voglio valutare la possibilità di chiedere in via giudiziale il risarcimento per quello che ho sofferto. È stata vergognosamente calpestata la mia dignità umana, personale e professionale. È giusto che qualcuno paghi per questo. E ritengo doveroso agire anche per tutti i miei colleghi insegnanti di religione, che oggi rappresentano una “categoria a rischio”, perché sia chiaro che non si può impunemente intimidirli e vessarli.
La ringrazio ancora dell’attenzione che ha prestato a tutta la mia vicenda e di tutto il sostegno che, attraverso le pagine di “Avvenire”, mi è arrivato e mi ha dato tanta forza per proseguire nel mio cammino. La saluto cordialmente
Adele Caramico
Lei, cara professoressa, fa bene a valutare tutte le possibili forme del risarcimento che possono spettarle dopo il linciaggio subito per aver osato rispondere in classe di sessualità, morale e medicina senza presentare soltanto le tesi “politicamente corrette”. Io mi limito ad augurarmi che ora, smentendo la sconsolata previsione che feci lo scorso 5 novembre rispondendole in questo stesso spazio, almeno alcuni tra coloro che hanno distorto le sue parole e la sua figura, che hanno preso per buona e vera un’accusa cattiva e falsa, che l’hanno calunniata e diffamata come insegnante indegna e «omofoba» si decidano a chiederle pubblicamente scusa. Che lo facciano i politici che l’hanno “inquisita”, se sono persone per bene. Che lo faccia qualche collega giornalista, se davvero ha la schiena diritta. Che soprattutto lo faccia lo studente omosessuale che ha montato il caso e, in un Paese dove troppa gente nutre pregiudizi e cerca di nascondere la propria coda di paglia, è stato ascoltato e considerato come una sorta di oracolo di Delfi. Le persone vittime di discriminazione meritano ogni sostegno. I vittimisti che hanno vergognosamente preteso la discriminazione altrui meritano almeno l’occasione di riparare l’ingiustizia commessa. Se la scuola non è in grado di insegnare questo, che cosa insegna?