Gentile direttore,
il nostro Paese da anni è in preda a un cronico immobilismo. Tutti dicono di voler cambiare, ma all’atto pratico nessuna categoria è stata disposta a sacrificare neppure un piccolo interesse per realizzare un vantaggio alla collettività. Ora che si tenta, con questa riforma costituzionale, di dare un migliore assetto al nostro Stato, ecco che molti si chiudono, paventando l’avvento di sistemi autoritari se non dittatoriali. Insomma, l’Italia è destinata a vivere nel suo particolarismo che determina disorganizzazione e inadeguatezza della macchina istituzionale, alle esigenze dell’economia e dello sviluppo. Senza parlare della frammentazione amministrativa che non di rado vede, «l’uno contro l’altro armato», lo Stato contro gli enti pubblici periferici, permettendo anche a talune municipalità di opporsi agli interessi della generalità dei cittadini. In questo quadro sembrano attuali i versi di Dante, nel canto VI del Purgatorio: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!».
Paolo Santucci
Non sono così pessimista, gentile signor Santucci. Vedo tutti i problemi che abbiamo davanti come italiani (e come europei, anzi euro-mediterranei), eppure resto convinto che riusciremo a venirne a capo. Nel nostro Paese – anche con errori, ripensamenti, e l’inevitabile corredo di polemiche – un processo di cambiamento e di riforma è stato avviato. Bisogna essere saggi nel condurlo "dall’alto" e decisi nel perseguirlo "dal basso". Intestardiamoci, positivamente.