Le alte parole del Pontefice, pronunciate solennemente in occasione della messa in Vaticano per il centenario del genocidio armeno, hanno scombussolato le carte delle diplomazie e affermato senza possibilità di equivoci che quello commesso un secolo fa dai turchi contro gli armeni è stato un genocidio, il primo genocidio del Novecento. Dopo quello degli armeni c’è stato lo stalinismo e la Shoah e ancora il Ruanda, la Cambogia, la Bosnia. E le uccisioni di massa dei cristiani, che si configurano sempre più come un genocidio, in tanta parte del mondo di oggi. Mentre il governo turco reagisce con forza richiamando l’ambasciatore, le parole di plauso si levano da ogni parte.Il termine di "genocidio", vogliamo ricordarlo, fu coniato nel 1944 da un giurista ebreo polacco, Raphael Lemkin, rifugiato negli Stati Uniti, proprio riflettendo sul genocidio armeno e su quello che ancora si stava svolgendo in Europa, il genocidio del popolo ebraico, la Shoah. Lemkin aveva cominciato a occuparsi del genocidio armeno nel 1921 in occasione del processo che aveva mandato assolto a Berlino Soghomon Tehlirian, uccisore del ministro dell’Interno turco Mehmet Talaat, uno degli ideatori principali dello sterminio. Le sue riflessioni si possono leggere in un libretto recentemente pubblicato da Giuntina, "Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno", accanto a quelle di tre testimoni ebrei del genocidio, due diplomatici presenti in Turchia, lo statunitense Einstein e il russo Mandelstam, e un sionista rumeno che lavorava per i Servizi Segreti inglesi, Aaronsohn.Ma i legami fra i due genocidi, quello armeno e la Shoah, non si esauriscono qui. Il primo sostenitore della causa armena fu un altro ebreo, l’ambasciatore statunitense Henry Morgenthau, che scrisse per denunciarlo al mondo un importante "Diario" recentemente pubblicato in italiano. Gli ebrei furono sensibili a questa battaglia ben prima che venisse a riguardare direttamente anche loro. E sappiamo che Hitler, dando inizio alla sua guerra di conquista nel 1939, aveva dichiarato: «Chi si ricorda più dello sterminio armeno»? E più tardi, nei ghetti nazisti in Polonia, gli ebrei che vi erano rinchiusi si identificavano con il destino degli armeni e si passavano di mano in mano il romanzo di Franz Werfel "I quaranta giorni del Mussa Dagh". Come gli armeni, così gli ebrei. Dopo le parole del Papa nessuno potrà fingere di non sapere, ha commentato il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni.Perché è, credo, difficile pensare ai genocidi senza tener presente l’intimo legame che li connette, isolandone uno solo, fosse pure il più importante dal punto di vista simbolico. Questo è anche quello che il Pontefice ha inteso, ricordando con gli armeni e la Shoah anche l’Holodomor, il genocidio staliniano dei kulaki ucraini e il Ruanda e Sebrenica, e guardando agli stermini di massa contro i cristiani oggi. Spero che la scelta fatta dal Papa di chiamare gli eventi con il loro nome, rinunciando ai riserbi del passato, sia imitata anche da quegli Stati come Israele, che ancora non hanno riconosciuto il genocidio armeno. E che la riflessione storica sui genocidi, da tempo avviata tra difficoltà e sfiancanti concorrenze di vittime, trovi nelle alte e coraggiose parole di Francesco uno stimolo e una spinta ad approfondirsi e a servire a uno scopo non solo teorico ma concreto, immediato: prevenire i genocidi, salvare le vite, dare ogni aiuto possibile alle vittime.