Il Vangelo che manca
sabato 29 ottobre 2016

Quelli che dicono di amarlo non lo conoscono, quelli che sostengono di disinteressarsene lo citano. Magari a sproposito, ma lo citano. Va bene, lo sappiamo, il Vangelo è da sempre segno di contraddizione, eppure i risultati dell’indagine resa nota ieri dal Censis fanno ugualmente impressione. Si prova a stabilire quale sia il rapporto tra «Il Vangelo e gli italiani» (questo il titolo del dossier) e si scopre che c’è incertezza perfino sul numero esatto dei racconti canonici, per non parlare delle generalità degli Evangelisti. Alcuni confondono i nomi e altri non provano neanche a indovinare, qualcuno magari prova a cavarsela con la più amata delle frasi evangeliche, quel "beati i poveri di spirito" che non sarebbe esattamente una giustificazione della propria ignoranza, ma non fa niente. Al secondo posto, nella classifica dei versetti più ripetuti, figura pur sempre «Ama il prossimo tuo come te stesso», che in qualche modo rimedia a tutto.

Presente in oltre il 70% delle case, il Vangelo continua a essere troppo poco conosciuto, se è vero che il 70% dello stesso 70% sostiene di non aprirlo neppure. Solo il 21% degli italiani dichiara che per lui quel libro non ha alcuna importanza, però non è detto che poi, in un modo o nell’altro, non gli capiti di dire che "i primi saranno gli ultimi". L’analisi è curiosa quanto impietosa e, sia pure in assenza di precedenti diretti, lascia il sospetto che forse, in un passato non troppo remoto, la situazione non fosse così compromessa. Perché se oggi a essere riconosciuta al volo in ambito figurativo è più anzitutto l’immagine dell’Ultima Cena (peraltro riprodotta e ripresa nei contesti più diversi, e non sempre rispettosi), fino a un paio di generazioni fa la consuetudine con la Biblia Pauperum scandita in statue, dipinti e vetrate garantiva una maggior familiarità con la storia sacra. In una devota mescolanza tra Vangeli canonici e apocrifi (oltre ai nomi degli Evangelisti, per esempio, si conoscevano anche quelli dei Magi, dei quali nel Nuovo Testamento non è neppure indicato il numero), ma anche in una dimensione di sensus fidei, di consapevolezza di fede, di cui ora l’indagine Censis restituisce ora solo qualche sprazzo.

La necessità di una nuova evangelizzazione dell’Europa era stata ribadita già da Giovanni Paolo II, in un contesto per certi versi meno segnato dagli esiti della secolarizzazione rispetto a quello attuale. Erano gli stessi anni nei quali anche in Italia veniva avanzata da più parti la richiesta di rendere obbligatorio nelle scuole l’insegnamento della Bibbia in una prospettiva che, pur restando principalmente culturale, costituiva il completamento del percorso avviato dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II.

La traduzione delle Scritture nelle lingue correnti, auspicata dalla costituzione conciliare Dei Verbum e subito attuata nei diversi Paesi, è un evento che ha toccato – o avrebbe dovuto toccare – in egual misura la comunità ecclesiale e quella civile, ridisegnando il profilo di un’Europa, e di un’Italia, che adesso ci appare invece più disorientata di quanto vorremmo. Ed è anche in questo senso che va considerato il viaggio che papa Francesco sta per intraprendere in Svezia in vista del quinto centenario della Riforma protestante, che ebbe nella frequentazione della Parola di Dio da parte dei fedeli uno dei suoi elementi caratteristici.

I risultati diffusi ieri dal Censis non rappresentano solo un problema della Chiesa, né un fastidio esclusivo per quei docenti universitari che, in sede di esami, si sentono ripetere che Gesù Cristo è morto per decapitazione o, in alternativa, per impiccagione. Nel Vangelo – in quel piccolo libro che ha donato all’Occidente la profondità abissale della semplicità narrativa – è presente la grammatica di un linguaggio universale, che permette all’uomo di riconoscere e annunciare la propria umanità.

«La prego, mi lasci vedere come va a finire», diceva il giovane Oscar Wilde al professore che gli stava facendo tradurre la scena della crocifissione dal greco di Matteo. Lo scrittore scherzava e provocava, com’era nel suo stile, e proprio per questo pronunciava una verità incontestabile: il Vangelo è uno dei pochissimi libri che non smette mai di sorprenderci, cambiando chi lo incontra davvero. Ogni momento è buono per iniziare a leggerlo, come dice e ripete il Papa. Non scoraggiamoci: anche il cammello della pigrizia, in fondo, può passare da quella cruna dell’ago che è la lettura.

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