Caro direttore,
oggi, finalmente, il valore della sostenibilità si sta diffondendo: una sostenibilità intesa come contemporaneamente ambientale, sociale e finanziaria. Questo può contribuire a scongiurare il rischio che si consolidi la paura ormai dominante di un futuro inesorabilmente peggiore del presente pur che, siano intraprese alcune azioni responsabili. Per costruire un’economia responsabile, il primo cambio necessario è di tipo ideologico: va superata l’interpretazione superficiale della «mano invisibile » di Adam Smith, «Se ciascuno persegue il suo interesse, ne deriva il bene comune».
In realtà, non è così, e il bene comune può essere il frutto solo di una responsabilità condivisa a livello dell’intera comunità, ovvero degli individui, delle imprese, della politica. A nessuno sfugge l’enorme valore sociale dei milioni di persone che danno forza ogni giorno alle attività del volontariato e del Terzo settore in generale.
Le imprese, poi, possono fare tanto con i loro comportamenti virtuosi per sviluppare sostenibilità: investire sulla formazione dei loro collaboratori, far emergere tutto il Pil prodotto e pagare puntualmente i loro fornitori e questi sono solo esempi. Costruire un capitalismo più responsabile vuol dire sentirsi responsabili non solo nei confronti dei propri azionisti, ma anche di tutti gli altri stakeholders, gli 'interlocutori' di un’azienda. Se ne parla da decenni e fa piacere leggere che la Business Roundtable, che rappresenta le principali aziende americane, abbia sottoscritto nei giorni scorsi un protocollo – seppur timido – in tal senso. Più grandi le imprese più grandi le loro responsabilità nel fare evolvere il nostro sistema imprenditoriale di mercato nella direzione della sostenibilità. Spesso la prima responsabilità è quella di rendere accessibili i propri servizi anche a chi ne è ancora escluso. Ne è un esempio Banca Prossima di IntesaSanPaolo che ha portato energia e risorse al mondo dell’impresa sociale.
Anche lo spirito della startup bancaria che abbiamo da poco creato, illimity, va in questa direzione; illimity è una banca for-profit, ma vuole contribuire a colmare un bisogno molto importante per il nostro Paese: finanziare le imprese medio piccole che faticano a trovare credito, in particolare quelle che già vanno bene, ma potrebbero crescere di più e quelle che, pur avendo problemi, possono essere risanate e rilanciate. Ma non basterà la generosità dei singoli o il senso di responsabilità delle imprese a costruire l’economia responsabile della quale abbiamo bisogno. Servono adeguate politiche pubbliche. Il malessere sociale che abbiamo lasciato crescere negli ultimi decenni e che si è trasformato talvolta in odio sociale non è colpa del sistema imprenditoriale di mercato, come qualcuno vorrebbe far pensare. Questo malessere ha molte radici tra cui alcune esasperazioni del sistema capitalistico, l’impatto della tecnologia e della globalizzazione, lo stress che l’invecchiamento mette sui sistemi di welfare e, infine e purtroppo, l’inadeguatezza della classe dirigente in molti dei nostri Paesi.
Tra le esasperazioni del sistema capitalistico menzionerei sicuramente la sua progressiva finanziarizzazione e la pericolosa enfasi sugli obiettivi di breve periodo. Per favorire l’economia sostenibile si dovrebbe, per esempio, disegnare una fiscalità che non premi gli utili finanziari, ma concentri gli incentivi sulle imprese che investono in innovazione e creano veri posti di lavoro. Il mondo del lavoro sta cambiando faccia: interi settori si rivoluzionano e tanti lavori vengono meno o sono sostituiti da computer o robot. Nel contempo molti altri se ne creano. La sfida dell’economia sostenibile, in questa prospettiva, è quella di ridisegnare il sistema educativo (che dovrà iniziare prima dei sei anni attuali e durare tutta la vita); di ripensare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro con apprendistati anche multipli nel corso della vita; di dotarsi di politiche attive del lavoro che rendano sostenibile la flessibilità senza ridurla a paralizzante precarietà. Per rendere sostenibili gli impatti dell’invecchiamento, ad esempio, la politica responsabile dovrà innovare potentemente nella sanità e nell’assistenza, introducendo provvedimenti strutturali come, per esempio, l’assicurazione universale contro la non autosufficienza. Rendere il nostro sistema economico più sostenibile e solidale è responsabilità primaria della classe dirigente che deve dimostrarsi capace, almeno su taluni temi, di fare squadra e di saper suddividere equamente costi e benefici delle politiche necessarie.
Ma la sfida è culturale prima ancora che tecnica. Dobbiamo trovare nuovi equilibri tra valori per troppo tempo considerati tra loro incompatibili: libertà e uguaglianza, per esempio, vanno combinate con soluzioni sempre più avanzate, come pure merito e solidarietà, identità locale e visione globale. Costruire un’economia solidale e sostenibile è certamente più faticoso che cercare facili consensi, ma è possibile farlo senza mettere a rischio le tante conquiste positive della nostra società negli ultimi decenni.
Fondatore e Ceo di illimity bank