Gentile direttore,
avevo scritto questa lettera giorni fa, ma poi non l’avevo inviata. La lettura di “Avvenire” di domenica 12 settembre mi ha spinto però a ripensarci, ed eccola qua. È inutile negarlo: la malattia, anche un “banale” Covid 19 di una persona vaccinata, ti cambia la vita. Anche perché non sono banali le conseguenze che esso comporta: la mia positività ha fatto scattare la macchina organizzativa che ha coinvolto mio marito, i nostri tre figli, la scuola superiore in cui insegno. Eppure mi sento una privilegiata: in primo luogo per aver avuto, a suo tempo, la possibilità di ricevere il vaccino (che, se non mi ha impedito di contrarre il virus, mi consente di affrontarlo come una sorta di influenza). In secondo luogo, per avere la possibilità di fermarmi a riflettere, cosa che a volte non è scontata. La prima evidenza che mi pare chiara è che nessuna legge, nessun protocollo, per quanto perfettamente approntato ed applicato, può tutelarci davvero, se non impariamo l’arte del discernimento. Quello, innanzi tutto, che deve guidarci a preferire il minimo rischio, il vaccino, per il massimo bene: la vita. La nostra e quella degli altri. E che, parimenti, deve spingerci a non cercare “l’untore”, semmai il fratello da aiutare, non solo a combattere la malattia, ma anche i retropensieri che portano molti, sulla base del sentito dire, ad astenersi dal vaccino, rallentando la famosa “immunità di gregge” che tutelerebbe anche i “fragili”. Ringraziando Dio, nel corso della mia vita, gli unici periodi finora trascorsi a letto sono stati i lunghi mesi delle gravidanze, complicati ma fecondi e ricchi di attesa. Perciò, anche se ora mi trovo chiusa in una stanza in una splendida mattinata di settembre, cercherò di pazientare. Anche allora, in gravidanza, ho assunto farmaci che successivamente sono stati ritirati dal mercato per presunti, minimi effetti collaterali, ma in me non è mai venuta meno la certezza che chi me li aveva prescritti agisse per il mio bene. Anzi: ho volentieri tollerato gli “effetti collaterali” che mi hanno permesso di portare a termine la gravidanza. Quante donne, d’altronde, accettano gli effetti collaterali della pillola per evitarne una? La vita è fatta di scelte. Se viene meno la fiducia nulla potrà funzionare: la sanità, la scuola, la famiglia. La fiducia è una relazione radicalmente vulnerabile, ma è la base delle relazioni e, non ultima, della Relazione, che è Dio. Ora (4 settembre) i miei tre figli, negativi al test rapido e in attesa del moleco-lare, sono confinati in soggiorno e scalpitano, come è normale che sia, per riconquistare la libertà che il buon senso oggi ci chiede di sacrificare. Gli altri due, attesi ma non nati, mi hanno insegnato molto su me stessa e sulla Vita: se ci rifiutiamo di abbracciare la realtà, tutta intera, anche quando è scomoda e complessa, perdiamo di vista la meta, la costruzione del Bene comune.
Cecilia Tacchi
Grazie, gentile e cara professoressa. Sono davvero felice che il mio dialogo con due interlocutori duramente contrari al vaccino anti-Covid l’abbia spinta a ripensarci e a inviarmi questa sua splendida lettera. Consiglio semplicemente ai no-vax più aggressivi e/o sentenziosi di leggere, rileggere e meditare. Abbiamo intelligenza, coscienza e cuore per usarli, soprattutto nelle prove della vita. Un caldo augurio: si ristabilisca presto completamente.