Una volta c’erano i piccoli sacrifici, quelli che venivano chiamati fioretti, la rinuncia alla fetta di torta, il salvadanaio con i soldi per i bambini meno fortunati. Poi uno cresce e capisce che vivere la Quaresima, prepararsi alla Resurrezione di Cristo, non può essere solo un esercizio di volontà, che abbandonare le cattive abitudini va bene ma non basta, che la tentazione più grande, nel deserto di routine e solitudini, è ripiegarsi su sé stessi. Fare a meno, abbandonare, desistere, salvarsi ha infatti senso solo se lo trasformiamo in cemento per costruire una casa comune più solida, altrimenti diventa sterile, se non pericoloso, narcisismo spirituale.
Si tratta allora di rovesciare il corso delle parole e delle loro conseguenze: di passare dalla rinuncia al dare di più, dal sacrificio al dono, dal risparmio alla generosità. O, meglio, occorre coniugare gli opposti, provare a tenerli uniti con il filo rosso dell’attenzione agli altri, per costruire una comunità autenticamente plurale, cioè fatta di singoli consapevoli che si cresce davvero e si cambia solo insieme. Vale in tutti i campi, dallo studio al lavoro, dal divertimento all’impronta che diamo alle nostre abitudini quotidiane. Così sobrietà non può voler dire solo meno spese inutili e attenzione a non sprecare acqua, che in tempo di siccità è peraltro cosa molto buona, ma impegnarsi a costruire e a recuperare l’armonia con chi ci sta attorno e la casa comune. Dal negativo al positivo, dal minor utilizzo dei beni naturali al reinvestimento di quanto risparmiato per migliorare i sistemi di consumo, dalla ricerca del proprio benessere alla tutela del mondo in cui siamo immersi. Che poi sono facce della stessa medaglia, l’uno non esclude affatto l’altra.
Dopo gli anni della scoperta della cultura ambientale, dell’ingresso nel vocabolario comune di concetti come sviluppo sostenibile ed ecologia integrale la sfida non più rinviabile è quella del rieducare, del rieducarsi. Dal negativo al positivo, anche se sembrerebbe il contrario. Dall’ebbrezza del troppo, dell’eccesso di oggetti e di risorse, al dovere e anche al bisogno di restituire alle cose il loro giusto valore, riordinando la classifica dei valori. Essere sobri allora vuol dire non farsi travolgere dalla sbornia del possedere tanto e di più, ma prima di tutto recuperare il gusto, lo stupore per la bellezza. Vale anche nei rapporti umani, in cui, più che mai, la scoperta degli altri passa dalla rinuncia a un po’ di noi.
Diventiamo grandi, insegnano i maestri dello spirito, quando capiamo e accettiamo di essere piccoli. In modo da riscoprire l’importanza della compassione, del fazzoletto che asciuga una lacrima, della carezza sul viso rugoso. Del fare a meno di una frase forbita o della risposta pronta per mettersi in ascolto di una storia già sentita decine di volte, di un’avventura che già sai come andrà a finire. Perché la nostra personale, forse minuscola, educazione alla pace passa dall’accettazione dell’altro, dal mettere a disposizione di tutti quel poco o tanto di conoscenza, sapendo che esistono persone con meno talenti. O che invece sono decisamente più brave.
Siamo centrali, insomma, nella costruzione della giustizia e della pace quando impariamo che il mondo gira anche senza di noi, siamo uomini e donne di misericordia quando vediamo negli errori di chi ci sta davanti sbagli che conosciamo benissimo, siamo capaci di consolazione quando non pretendiamo di rubare il dolore degli altri ma accettiamo il nostro. Il segreto non sta tanto o comunque non solo, nel vincere la sofferenza ma nell’imparare a interpretarla, nel capire che a volte è giusto fare un passo indietro, fingere di non trovare le parole, spegnere il cellulare e non chiamare più. Dal negativo al positivo, dal pretendere che si occupino di noi al prendersi cura degli altri.
La Quaresima dunque coniuga e, in un certo senso, rovescia gli opposti. O forse, semplicemente, ci fa capire che era positivo, o c’era del positivo, in quel che pensavamo solo negativo. E non l’avevamo mai capito.