Angela Merkel, 65 anni, dal 2005 è cancelliera della Germania - Ansa
C’è una grande aspettativa per il semestre di presidenza tedesca dell’Unione europea cominciato ieri. La guida a rotazione non ha più il rilievo del passato (è in vigore fin dal 1957), sia per il ruolo quasi egemonico assunto dal Consiglio europeo composto dai capi di Stato e di governo sia perché oggi il Consiglio stesso ha un presidente designato per 5 anni, dal 2019 il belga Charles Michel. Tuttavia, il governo di coalizione di Angela Merkel non potrà che assumere un peso e un ruolo ancora maggiore in ambito comunitario – in particolare nei singoli consigli per funzione, a partire dall’Ambiente –, a motivo del momento straordinario che l’Europa sta vivendo e che richiede scelte decisive impossibili senza la spinta del Paese più influente. Se si considera che l’ultima presidenza di Berlino era stata nel 2007, si nota una particolarità: lo scenario è profondamente cambiato (non era nemmeno scoppiata la crisi finanziaria dei subprime, di Trump e pandemie non si aveva la minima avvisaglia), ma la cancelliera era già al suo posto, dal quale potrebbe non allontanarsi nemmeno nei prossimi anni comunque vadano le cose nel mondo.
Un segnale di continuità unico nel panorama internazionale, che fa intendere la riluttanza al cambiamento drastico e repentino nel Paese faro dell’Unione. La dimensione e la forza economica fanno della Germania il cardine in Europa, un elemento di equilibrio ma anche di inerzia, secondo i momenti e le prospettive. L’emergenza sanitaria-economica attuale è definita da tutti senza precedenti, ma il tracollo della Grecia, la crisi dei migranti di metà decennio scorso e la Brexit, a livello comunitario, sono state altrettanto telluriche, ciascuna contestualizzata nel proprio periodo. Sappiamo che Berlino le ha affrontate, in proprio e come guida degli altri membri Ue, in modi non sempre lungimiranti e soddisfacenti. Si poteva 'salvare' subito Atene, senza fare soffrire la popolazione e creare eccessivi e prolungati stress dei mercati, anche nell’ottica dell’interesse tedesco. Di fronte all’implosione della Siria e alla pressione sui confini europei, Merkel ha generosamente aperto le frontiere tedesche (con anche un vantaggio in termini di competenze acquisite), ma ha poi promosso un accordo con la Turchia di Erdogan che ha dato al reis di Istanbul risorse per il suo espansionismo mediterraneo e un’arma di ricatto umanitario. Inoltre, la cancelliera, che pur si è spesa per introdurre un sistema di quote vincolanti per la redistribuzione di profughi e rifugiati nel Continente, non è riuscita a ottenere sostegno continuativo ai Pae- si rivieraschi, rimasti soli nel fronteggiare gli sbarchi.
La presidenza a rotazione non ha più molto peso, ma quando tocca al primo Paese del Continente per popolazione e Pil assume un valore speciale. Sul tavolo il grande piano condiviso di sovvenzioni e prestiti e anche l’agenda verde La sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe sul QE segnala la resistenza a cedere sovranità alle istituzioni comunitarie
Oggi la Germania assume la presidenza con una sfida epocale di fronte a sé. Fare entrare l’Europa nell’era delle sovvenzioni e dei prestiti a tassi contenuti per tutti i Paesi, ottenuti con emissioni obbligazionarie a garanzia comune. L’ormai famoso Recovery Fund da 750 miliardi, che pure difficilmente resterà di tale entità, è lo strumento non solo per risollevare le economie più colpite dalla crisi del coronavirus, ma anche il possibile avvio di una nuova solidarietà europea, non più basata solo sulle regole ma sulla concretezza della condivisione. E’ quello che però contestano i cosiddetti Paesi frugali del Nord, cui anche la Germania ha ammiccato dietro le quinte in passato, utilizzando i piccoli per difendere l’interesse proprio di grande Paese. La cancelliera anche lunedì, nel vertice con Macron, ha frenato l’ottimismo del presidente francese, con cui peraltro condivide le redini dell’Unione e il progetto di una Conferenza sul futuro dell’Europa da inaugurare in autunno per una sperabile rifondazione della Ue. Ma, paradossalmente, Merkel non è la Germania, e i tedeschi che contano in Europa non sono solo Merkel. Lo si capisce da dinamiche giuridiche complesse che, forse per questo, non hanno attratto l’attenzione che avrebbero meritato. Il 5 maggio, la Corte costituzionale tedesca si è espressa su un ricorso contro gli acquisti di bond da parte della Bce. Non li ha bocciati (e ciò ha rassicurato le Borse). Ha tuttavia acceso una lunga miccia che avrebbe potuto far esplodere una bomba sul cammino dell’Unione, dando voce autorevolissima a un 'populismo democratico' che ha spinto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, già delfina di Merkel, a ipotizzare addirittura una procedura di infrazione contro la 'sua' Germania.
Un accordo pare sarà trovato a breve, la questione non è semplice, ma vale la pena di ripercorrerla, proprio per capire le diverse anime tra le quali la cancelliera deve mediare in patria e che dovrebbero trovare unità per risolvere le contraddizioni che frenano l’Europa anche a livello di rapporti tra Stati nazionali. L’Alta Corte di Karlsruhe, composta da raffinati giuristi per nulla simpatizzanti dell’ultadestra anti-Ue, ha emesso un’articolata sentenza con la quale pone in discussione la proporzionalità del programma seguito dalla Banca centrale per comprare debito dei Paesi dell’eurozona. In altre parole, la Bce non dovrebbe eccedere una certa quota di bond, per non gravare alcune economie, segnatamente quella tedesca (risparmiatori e banche), a vantaggio di quelle meno competitive che godono del conseguente dell’abbassamento di tassi d’interesse e spread. I vertici di Francoforte sono stati chiamati a spiegare entro tre mesi i criteri che ispirano le loro scelte in materia di Quantitative Easing. Se non fossero convincenti le ragioni dell’Istituto che controlla l’euro, la stessa Bundesbank, quale attore istituzionale tenuto a rispettare i propri limiti di legge, sarebbe vincolata a non partecipare più al programma (e addirittura a vendere bond). Ma ciò va contro il Trattato di funzionamento della Ue (che fa da costituzione), secondo il quale la Bce e le banche centrali nazionali non possono prendere istruzioni dai governi o da altri organi non europei.
Ma non è tutto. I giudici costituzionali hanno detto in punta di diritto ma a chiare lettere che non ha valore per Berlino il pronunciamento della Corte di giustizia europea (Cge) di Lussemburgo, chiamata in precedenza a decidere sul caso, secondo il quale la Banca centrale può proseguire con gli acquisti. Le toghe costituzionali tedesche affermano che la sentenza «eccede il mandato giuridico della Cge e deve essere considerata arbitraria da un punto di vista oggettivo». Secondo la Bce e la gran parte degli osservatori e dei giuristi, solo la Corte di giustizia ha la giurisdizione per decidere se un atto di una istitu- zione Ue è contrario alla legge fondamentale europea. Quello della Corte di Karlsruhe è pertanto un atto di secessione giuridica, perché spacca l’unità europea e contesta le prerogative assegnate ai suoi vari livelli decisionali e di garanzia. Ecco il motivo per cui la Commissione ha valutato persino la possibilità di una procedura di infrazione. Che tuttavia avrebbe principalmente colpito il governo di Berlino, il quale non può, com’è ovvio, interferire con le sentenze della sua Corte costituzionale.
Anzi, dovrebbe probabilmente inchinarsi ad esse. I n sostanza, i supremi giudici tedeschi hanno affermato che, contrariamente a quanto sostiene la Corte di giustizia europea, non c’è un ordine giuridico sovranazionale, ma la Ue rimane un’organizzazione fatta di Stati e pertanto le istituzioni sovranazionali debbono essere controllate dalle istituzioni nazionali. È il Parlamento tedesco a poter valutare le decisioni di spesa, perché sono gli Stati nazionali che esercitano pienamente la democrazia. Questa visione interstatale dell’Europa, rigorosamente difesa in punta di dottrina, per nulla sovranista in quanto interessata a difendere 'i diritti inalienabili della persona', può essere però strumentalmente abbracciata anche da chi oggi, come Polonia e Ungheria, resiste a una maggiore integrazione e non vuole che Bruxelles si intrometta nei propri affari interni.
Come finirà il caso? Con un onorevole compromesso, nei prossimi giorni. Il Parlamento tedesco ha dato incarico a un suo organismo consultivo di esperti di studiare il caso e il rapporto che ne è scaturito invita la Bundesbank a trattare il dossier, stabilire se il QE rispetta la proporzionalità ed eventualmente ritirarsi dal programma della Bce. I giudici dovrebbero dirsi soddisfatti della spiegazione, dissinescando la bomba, proprio mentre Merkel cerca un difficile compromesso con i Paesi frugali sul Recovery Fund. Decisamente, sarà un semestre ricco di implicazioni per il futuro dell’Unione, magari capace di fare comprendere che il passaggio a un’architettura federale è la strada concreta per superare i contrasti tra Stati e interessi nazionali verso quell’Europa solidale, alfiere di diritti e valori condivisi, che in molti auspicano a parole.