martedì 27 settembre 2016
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Caro direttore, caro Marco, «Fabbrichiamo i tuoi sogni». È la promessa di una delle pubblicità offerte negli spazi appositi, protetti e trasparenti, lungo le strade di Genova in questi giorni. Si tratta, come spiega l’immagine sotto riportata di stimolare le consumatrici a truccarsi per apparire belle e fatali, come a volte solo nei sogni riesce. Anche per la pace e dintorni il rischio è quello di fabbricare sogni e di affidarsi a un trucco. Il making-up, il maquillage, che non fa che confermare la tendenza attuale che tutto traduce in apparenze, sogni compresi. Tra questi quello della pace è, come sappiamo, di particolare rilevanza e attualità. Chi ha visto la guerra in Liberia, come chi scrive, sa bene che la pace non ha prezzo. Col tempo, però, anche quest’ultima, adeguandosi alla narrazione dominante, un prezzo ha cominciato ad avercelo. Un buon esempio il recente incontro interreligioso di Assisi, di francescana memoria, presentato come momento profetico. Per di più capitato in un contesto di scelta e desiderata «guerra permanente e globale» contro il terrorismo, motivato a volte da ideologie «religiose». In effetti il 16 e 17 gennaio dell’anno scorso a Niamey, nel Niger, le nostre chiese e quelle dei fratelli protestanti sono andate distrutte dal fuoco. Sono stati accertati una decina di morti, danni ingenti e soprattutto la perdita forse irrimediabile della fiducia sociale, che è alla base di ogni umana convivenza.  Quindi nulla di più necessario che dare continuità a incontri di preghiera e scambio, con dichiarazione finale di capi religiosi che anelano alla pace. Difficile, ma non impossibile stimare il prezzo di questo sogno fabbricato che somiglia, senza volerlo, a un maquillage poco rilevante. I membri del Comitato Preparatorio, per tempo e con perizia, hanno prenotato alberghi, cene, pranzi di gala per i capi religiosi e le loro “suite”. Rabbi, imam, vescovi, cardinali e dignitari di altre religioni. Buon ultimo della lista, il Papa che non solo nel nome che si è dato parla davvero di pace. Tutti sono stati oggetto di onerose attenzioni. I prezzi degli hotel ospitanti sono noti. E molto salati. È un testimone oculare ad Assisi in quei giorni che lo ricorda. Le cene a prezzo politico non sono a prezzo di saldo. E poi rabbi con macchinoni, musulmani inondati di cocktail analcolici, e per gli altri liste delle bevande dai prezzi esorbitanti. E poi gli invitati, prescelti e spesso raccomandati (nulla è lasciato al caso). Almeno 400, invece, i commensali per tre giorni con cene e pranzi. Il tutto comporta una somma difficile, ma non impossibile, da valutare. La pace un prezzo ce l’ha, magari poco visibile e trasparente, ma ce l’ha. La fabbricazione di sogni, specialità diffusa in vari ambiti anche religiosi, si avvicina al trucco o making-up prima rilevato. Mediaticamente utile, vergognosamente opaca e soprattutto funzionale al sistema dominante che da questi eventi esce rafforzato. Resta da domandarsi in che modo e in virtù di quale aura questi capi religiosi dicono le sofferenze e i drammi dei nostri poveri. E chi mai ha dato loro il mandato di rappresentarne i volti.  Per noi, che torniamo tra breve al “Sud di Lampedusa”, in un Paese islamico, di tutto ciò non resterà traccia alcuna. Si riparte con l’impressione di avere assistito, da spettatori, a un sogno fabbricato senza futuro. E intanto Francesco d’Assisi è seduto tra gli altri in una barca, tra i migranti. Mauro Armanino Genova, settembre 2016 Anche io, caro padre Mauro, sono stato ad Assisi 2016, il grande incontro di preghiera e dialogo tra credenti (e non credenti) intitolato alla «sete di pace». E dunque sono a mia volta un testimone oculare e, lo sai, piuttosto esigente. Posso dirti di una gran macchina organizzativa, semplice ma precisa. E soprattutto che è stato bello, consolante e persino commovente vedere e ascoltare agli stessi tavoli di lavoro e, poi, alla stessa tavola profughi dal Vicino Oriente e dall’Africa e capi religiosi che vivono in città e nazioni ufficialmente pacifiche e o in periferie “impossibili” (come la tua, in Niger), ma che insieme nel nostro strano villaggio globale continuano a sfidare tagliagole e disastrosi e cinici luoghi comuni. Nonché – e qui penso a «rabbi, imam, vescovi, cardinali e dignitari di altre religioni» – quella parte dei rispettivi fedeli che è poco incline all’incontro con il “diverso” e al rispetto della religione dell’altro.Così come è stato esemplare vedere leader e profughi – coi più poveri e deboli sistematicamente ed emblematicamente ai posti d’onore – ritrovarsi insieme nel refettorio del Sacro Convento per un pranzo e una cena buoni proprio perché all’insegna della sobrietà e innaffiati con ottima acqua di rubinetto e, per coloro che ne bevono, vino in bottiglie senza pretese né etichette. Gli uomini e le donne di Dio riuniti nell’Assisi di san Francesco e di san Giovanni Paolo II non sono stati invitati a una gita di lusso, ma hanno accettato di accogliere un invito e di essere accolti. Anche in albergo, forse con qualche personale contraddizione, ma senza sfarzi – a quel che ho visto – da mille e una notte. E i macchinoni di alcuni (qualcuno c’era) si alternavano ai pulmini e al lento andare a piedi, passo dopo passo, col... “cavallo di san Francesco”. Nonostante, nei nostri duri tempi di terrorismo, le più che ovvie misure di sicurezza. Tutti insieme, e insieme al piccolo e disarmato esercito dei volontari di Sant’Egidio, hanno compiuto gesti e detto parole – alcune proprio difficili e rischiose – che vanno in direzione ostinata e contraria rispetto alle retoriche della «guerra permanente e globale». Per questo papa Francesco non ha mancato all’appuntamento e, ancora una volta, ha fatto tremare le pietre dell’indifferenza e dei nuovi muri con il suo tono sommesso e le sue frasi dirette, che si scolpiscono nella memoria e non permettono di restare inerti. A giudicare dalle prime pagine del giorno dopo, però, non sono affatto stati «mediaticamente utili». In tanti li hanno snobbati. Proprio come troppe volte snobbano il fuoco e le bombe che fanno strage dei poveri.  Noi, con te, caro padre Mauro, siamo di un’altra pasta. La pace non è cominciata ad Assisi, nell’anno del Signore 2016, ma lì ha fatto qualche passo avanti grazie a Dio e a uomini e donne di buona volontà. Ancora pochi, i passi e le persone che li compiono. E questa è la sfida, e questo è lo scandalo, dobbiamo continuare a gridare in faccia al mondo.

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