Caro direttore,
le parole di papa Francesco sulla pena di morte, nelle sue intenzioni di preghiera di settembre, sono nette, nobili e di straordinaria importanza: in 120 secondi, richiamando tutte le ragioni abolizioniste, egli afferma che non c’è alcun motivo per cui la pena capitale debba rimanere nelle leggi degli Stati. L’aggettivo più potente dei tanti menzionati è questo: inammissibile.
Non sono un teologo ma un attivista per i diritti umani. Da quest’ultimo punto di vista, non posso non notare che, rispetto alle precedenti pronunce di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il pontificato di Francesco si è espresso con una chiarezza adamantina sul tema della pena capitale fino a cambiare il Catechismo. Non ci sono più giri di parole sui casi «praticamente inesistenti » nei quali potrebbe essere applicata la pena di morte. C’è una condanna inequivocabile.
Ma non solo. Quella di Francesco non è solo una riflessione teorica, che pure sarebbe di grande importanza. Il suo è un appello alla mobilitazione, un invito a sostenere le campagne abolizioniste. Quelle di Francesco sono, riprendendo il vocabolario dei diritti umani, parole da 'attivista'.
Parole che giungono in un momento storico di grande importanza. È vero: la tendenza verso l’abolizione della pena capitale, in alcuni anni lenta e in altri più veloce, pare inarrestabile – come sempre, è l’Africa subsahariana a fornire i migliori esempi e a dettare i tempi – e ormai un’ampia maggioranza degli Stati del mondo ha deciso di farne definitivamente a meno: la pena di morte resta in vigore in una cinquantina di Paesi, ma è applicata sì e no in venti di questi, quasi tutti concentrati in Medio Oriente e Asia.
Tuttavia, non mancano sviluppi preoccupanti. Si pensi, per esempio, che già a fine luglio l’Iran aveva eguagliato (e, a fine agosto, ampiamente superato), le 314 esecuzioni dell’intero anno precedente. E negli Stati Uniti d’America, a causa dell’esaurimento delle scorte di anestetici per l’iniezione letale e dell’indisponibilità delle case farmaceutiche a fornirne di nuove, vengono compiuti veri e propri esperimenti su esseri umani e si ripristinano metodi di esecuzione (camera a gas, fucilazione) che speravamo fossero stati consegnati alla storia. In alcuni Stati asiatici le campagne abolizioniste prendono vigore (come nei casi di Taiwan e della Corea del Sud) ma altrove, come nelle Filippine e nello Sri Lanka, si dibatte sul possibile ripristino della pena di morte.
Segno dell’imbarbarimento che la guerra produce, nei territori dell’Ucraina occupati dalla Russia si stanno allestendo macabre parodie della giustizia come la trasformazione della sala della filarmonica di Mariupol in un cosiddetto «tribunale internazionale» per giudicare, e condannare alla sanzione estrema, prigionieri di guerra.
Tra alcune settimane, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite esaminerà e voterà una nuova risoluzione sulla pena di morte. Non c’era momento più adatto e necessario perché papa Francesco potesse prendere la parola, con un’autorevolezza e una solennità senza pari. Le porgo, caro direttore, i miei più cordiali saluti.
Portavoce di Amnesty International Italia