L’episodio dell’addomesticamento del lupo di Gubbio da parte di san Francesco d’Assisi – narrato dai “Fioretti”, sia esso vero o sia un episodio leggendario, anche se fondato su una reale attitudine del Santo verso gli animali – non deve essere visto solo come una narrazione edificante che esemplifica la capacità di Francesco di entrare in sintonia col mondo naturale e testimonia della sua bontà e del suo essere nella grazia divina. Esso è anche un insegnamento morale e persino “politico” sul modo in cui ci si deve atteggiare verso ciò che sembra a prima vista l’assolutamente negativo, il male incarnato, il totalmente altro. Lo si vede innanzi tutto dal fatto che per Francesco il lupo non è il simbolo di qualcosa di trascendente, di occulto (tiene bene a distinguere il lupo come male naturale, dal peccato che conduce al «fuoco infernale»), ma è tale e quale esso era nel mondo medievale: una minaccia per il lavoro e la convivenza umana, così come lo sono i briganti, i ladri e gli omicidi.
Nell’episodio della sua domesticazione il messaggio è che anche il lupo può essere ricondotto a civiltà, alla convivenza tra diversi, sino allora motivati da una radicata ostilità; e quindi che deve essere bandita ogni forma di inimicizia tra i viventi, siano essi uomini, bestie o agenti naturali. V’è, insomma, un’alternativa al reciproco sterminio. Che Francesco assimili il lupo a banditi e ladri, e pertanto come costoro sia «degno delle forche», non è altro che un modo per sottrarre il lupo alla condizione inferiore dell’animalità, sì da renderlo simile agli uomini e quindi responsabile delle proprie azioni; ma è soprattutto un modo per sottolineare come esso sia in grado di convivere con gli uomini in pace e fraternità, come in effetti accadde quando verrà nutrito e accudito dagli eugubini, così come è da farsi per chiunque si trovi sprovvisto dei mezzi materiali di sostentamento. Perché Francesco sa bene, nel rivolgersi al lupo, «che qualunque male fai, lo fai per rabbia di fame». Sicché quello stipulato col lupo è un «patto della pace », analogo a ogni accordo che si fa tra gentiluomini, per i quali basta la parola: « E quando san Francesco aveva steso la mano per ricevere la fede, anche il lupo levò la zampa anteriore destra e dolcemente la pose sulla mano di san Francesco per far fede con il segno che poteva»; atto che poi il lupo ripete davanti a tutto il popolo.
Il fatto che la pace tra gli abitanti e il lupo sia raggiunta quando quest’ultimo è nutrito e non soffre più la fame è anche una indicazione dell’origine dei contrasti che lacerano le città: è la diseguaglianza e la sofferenza a condurre alla malvagità e al delinquere per procurarsi quanto necessario. Lo si evince anche dall’episodio dei ladroni di Borgo San Sepolcro, che derubavano i passanti per procurarsi il pane ed elemosinavano perché sospinti da grave necessità: la pedagogia graduale di Francesco, fatta di disponibilità, carità, amicizia e dolcezza – e non di «crudeli riprensioni », cioè repressione, persecuzione e minaccia di pene atroci, giacché «i peccatori si riconducono meglio indietro con la dolcezza della pietà piuttosto che con aspro rimprovero» – ottiene che anch’essi stringano un patto con i frati e promettano prima di non più percuotere e maltrattare le persone, quindi di mutar vita, al punto da entrare alcuni di loro tra i Minori. In una società in cui vige un patto di reciproca assistenza e sostegno, non viene alimentata l’aggressività e la reciproca ostilità.
Questo è un insegnamento ancora attuale quando si consideri il modo in cui è stato sinora trattato il conflitto tra Russia e Ucraina, in cui la raffigurazione che si è data dell’orso di Mosca è stata l’analogo del modo in cui si vedeva al tempo di Francesco il lupo di Gubbio. Anche nel caso dell’orso, sicuramente Francesco si sarebbe chiesto il perché di un comportamento scellerato. Certamente Francesco non giustificava le malefatte del lupo, tant’è vero che cerca di impedirle; ma si rende conto che per raggiungere una pacificazione è innanzi tutto necessario conoscere le sue ragioni, le motivazioni che lo spingono a saccheggiare e uccidere animali e uomini, e quindi cerca di stabilire con lui un patto di reciproco rispetto. Ma soprattutto considera il lupo un proprio eguale, al quale è possibile stringere pubblicamente la zampa, e che è degno di fiducia.
È bene osservare che l’atteggiamento di Francesco non manifesta in questo caso la eccezionalità che deriva dal solo possesso della grazia divina, ma si inscrive in una razionale e realistica valutazione delle circostanze che hanno portato al comportamento del lupo, così come a quello dei briganti di Borgo San Sepolcro. Esso è pertanto anche un insegnamento “politico”, che non abbisogna della specificità dell’essere cristiani per essere adottato, ma invece si colora di una percezione realistica degli eventi, cioè della capacità di guardare in faccia la realtà, di “pensare con la testa degli altri” e di andare alla radice dei problemi. E la radice di ogni evento storico è l’uomo, quell’uomo in cui Cristo si è incarnato.
Storico della filosofia già ordinario nell’Università di Catania già presidente della Società filosofica italiana