Un telespettatore-lettore si sorprende che, oltre a sognare la sovversione della logica della guerra, io ne sovverta anche la grammatica. Ma accanto all’evidenza del dizionario c’è l’eloquenza atroce dei fatti
Caro direttore,
per anni ho avuto "Avvenire" in casa perché mio padre era vostro fedele abbonato. Io non lo sono, ma il giornale da lei guidato rimane un riferimento importante anche per me. L’ho sentita in televisione, durante lo Speciale del Tg3 dedicato alla guerra in Ucraina e all’8 marzo, affermare che «la guerra è un sostantivo maschile». Le vorrei, col massimo rispetto, ricordare che, pur parlando lei nel Giorno delle donne, il termine "guerra" rimane un sostantivo femminile. Pur comprendendo che bisogna a tutti i costi apparire a favore delle "quote rosa", dichiarare che la guerra è un sostantivo maschile, forse è un po’ azzardato...
Christian Benjamin Pallanch, Roma
Ebbene sì, caro architetto Pallanch, sono uno di coloro che con tenacia e umiltà, e magari con cento umane contraddizioni, sogna e cerca di praticare la sovversione della logica e anche della grammatica della guerra. Non da oggi, e non perché proprio adesso, proprio qui, in Europa, infuria la guerra aperta scatenata, dopo quasi otto anni di sanguinoso conflitto ipocritamente definito "a bassa intensità", dall’aggressione contro l’Ucraina decisa dal presidente russo Putin. L’ho scritto anche in un mio recentissimo articolo di fondo (27 febbraio 2022) che «Sovvertiamo la guerra» è l’imperativo che dovremmo sentire con urgenza. E sono anni che definisco amaramente la guerra come un «sostantivo maschile». Lo faccio contro l’evidenza del dizionario e inchinandomi all’eloquenza delle realtà belliche che da cronista ho visto e raccontato e commentato e da uomo di coscienza continuo a soffrire accanto alle vittime, ormai sempre più civili che militari, offese da una violenza ripartita su uomini e donne, adulti e infanti, che rappresenta l’unico caso di quasi perfetta applicazione di una feroce parità di genere, con anzi una tendenza odiosa a far prevalere la prevaricazione, l’umiliazione e l’assassinio contro la parte femminile dell’umanità. È stato ed è così ovunque, nel Vicino Oriente come nei Balcani, nel Sahel come nel Sud-Est asiatico, in Messico come in Congo e nel Tigrai. E rischia di esserlo sempre di più, purtroppo anche in Ucraina.
Dico, dunque, che la guerra è un sostantivo maschile in modo retorico e, da uomo, lo faccio con immensa sofferenza. E la mia intenzione è esattamente contraria – una persona di cultura come lei ne avrà certo consapevolezza – alla trionfante retorica che portò all’alba del Novecento, il secolo più insanguinato della storia umana, Filippo Tommaso Marinetti a inneggiare nel Manifesto del Futurismo alla «guerra sola igiene del mondo» e a glorificarla con «il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Sono i volti maschi e atroci e gli atroci moventi di tanti misfatti bellici anche nei tempi che, per quieto vivere, chiamiamo di pace. La pace, invece, è un altro nome dell’amore ed è sostantivo femminile e maschile insieme. E se non è così, non è. Tocca a noi.