Gentile direttore,
le cronache dei giorni passati e, soprattutto, l’articolo di Lucia Capuzzi del 29 ottobre mi sollecitano: Bolsonaro, cittadino onorario di Anguillara Veneta! Ormai lo è, anche se i “concittadini” non hanno approvato; anche se le critiche (e... i pettegolezzi) si sono sprecati. Quei famigerati 9.000 euro che, si dice, la sindaca avrebbe sborsato di tasca sua per celebrare l’avvenimento, sono diventati oggetto del contendere, perché, si è sentito dire, erano il “prezzo” pattuito dallo stesso Bolsonaro per partecipare alla cerimonia. Sarà? Non sarà? Poco importa. Il fatto più grave – come anche lei, direttore, ha commentato – è che si sia pensato a dare un’onorificenza a un personaggio come l’attuale presidente del Brasile! Ho vissuto personalmente il tempo della sua campagna elettorale; ho assistito al suo “exploit” in aula al tempo dell’impeachment di Dilma Rousseff; ho seguito i suoi primi tempi di governo. Che dire? Una persona così ha procurato ai brasiliani solo sofferenze, in tutti i sensi, fino alla noncuranza con cui ha, o non ha, affrontato il problema Covid. E noi lo abbiamo onorato? Ma ormai, anche se un po’ in sordina, è “cittadino” di un centro di quattromila abitanti. E bisognerà tenerselo.
Elisabetta Melzi d’Eril
Signor direttore,
ho letto gli articoli-linciaggio contro il presidente Bolsonaro. Capisco che preferite i “cattolici” alla Biden che affermano di non credere che la vita cominci con il concepimento in modo da avere una giustificazione per sostenere l’aborto e gli abortifici... Bolsonaro è il presidente di uno dei più grandi Paesi al mondo, è stato eletto democraticamente e saranno i cittadini brasiliani a decidere se riconfermarlo o no. Non vedo nulla di scandaloso nel concedergli una cittadinanza onoraria da parte del paese veneto di origine della sua famiglia.
Alessandro Martinez
Caro direttore,
ringrazio “Avvenire” per gli articoli sul tour in Italia del presidente Bolsonaro e sugli onori che gli sono stati resi e che hanno suscitato indignazione, soprattutto ma non solo nella Chiesa. Ringrazio soprattutto Lucia Capuzzi, sempre lucida e attenta alle voci della Chiesa e dei popoli. E ringrazio anche lei per aver anche riscattato la memoria di padre Ezechiele Ramin, la cui testimonianza è realmente emblematica, e tantopiù nel trattare il caso in questione. Come “Padres da Caminhada”, in Brasile, ci siamo espressi nei giorni scorsi con una nostra lettera aperta, che abbiamo inviato anche alla sindaca di Anguillara Veneta. Grazie per la vostra attenzione costante al Brasile e anche alle nostre voci.
padre Pietro Sartorel, a nome del Coordinamento dei Missionari Italiani in Brasile
Ho già detto la mia sulla sbagliatissima cittadinanza onoraria al presidente Bolsonaro, e infatti sia la gentile signora Melzi d’Eril sia padre Sartorel nelle loro lettere lo ricordano. Ma oggi, a distanza di tempo, torno sul tema scegliendo tre diverse opinioni. C’è quella, dolente e allarmata, di una donna che ho appena citato e che conosce bene anche il Brasile. C’è quella, sferzante, del signor Martinez, un uomo che ritiene di avere idee molto chiare su che cosa e chi è “cattolico” e chi e che cosa invece non lo è e che ci qualifica addirittura come lapidatori. Idee molto più chiare, a quanto si intuisce, dei molti missionari cattolici che mi hanno scritto per sottolineare l’oggettività e la chiarezza delle cronache e delle opinioni espresse su “Avvenire” da Lucia Capuzzi e dal sottoscritto. Missionari ai quali ho deciso di dar voce con un solo (ma emblematico) messaggio, quello appunto di padre Sartorel.
Sono stanco – voglio dirlo in modo pacato ma fermo – dell’«ideologismo» di chi vorrebbe mettere la croce al collo a questo o quel personaggio politico e proclamarlo campione del popolo e, persino, defensor fidei per il solo fatto di vederlo schierato dalla parte politica che considera più vicina. Non basta promettere, come ha fatto Jair Bolsonaro, battezzato cattolico e ribattezzato evangelicale, che «in Brasile proteggeremo sempre la vita nascente» se si legittima e si dà impulso in molti modi a una politica contro la vita “già nata”, solo perché povera, marginale, scomoda. La contraddizione è drammatica e totale. Il signor Martinez usa, però, come contraltare polemico il presidente degli Usa, Joe Biden, democratico e cattolico dichiarato. E per riuscirci scrive cose vere e altre che vere non sono. È vero che Biden è approdato a una posizione politica favorevole alla libera scelta della donna di fronte a una “gravidanza difficile” (pro-choice). Non è vero che abbia affermato di «non credere» che la vita «cominci col concepimento», anzi ha chiarito in più occasioni di essere personalmente contrario all’aborto. Ed è proprio qui la sua lancinante contraddizione: tra ciò che sa e crede, e ciò che tuttavia ammette.
Io vedo due ferite aperte. Ma niente affatto equivalenti. Quella di Biden è profonda e seria, ed è all’interno di una linea politica che – dalla lotta al Covid ai rapporti internazionali – alterna luci e ombre, ma che complessivamente (american style, ovvio) ha un’impronta più solidaristica e compassionevole almeno con chi al mondo c’è già (a patto che non sia un migrante confinato nell’irregolarità...). Quella di Bolsonaro, che gli è valsa dal Senato brasiliano un’accusa per «crimini contro l’umanità», purtroppo segna tutta la sua azione. Dirsi – lo ripeto – contro l’aborto e contemporaneamente abbandonare il proprio popolo alla pandemia e umiliare la vita dei poveri e dei deboli è una bestemmia umana e cristiana. Ci è chiesto di non avere pregiudizi e giudizi di comodo, bensì occhi aperti e coscienze ben formate, per valutare non la fede ma le opere di chi ha più poteri e più doveri.