venerdì 6 ottobre 2017
Devozione, natura, integrazione: è il «segreto» di sant’Olav. Tutte le vie portano alla vecchia capitale Trondheim ma solo una passa per Bonsnes
La statua di sant'Olav al Museo dell'Università di Bergen (©Piergiorgio Pescali)

La statua di sant'Olav al Museo dell'Università di Bergen (©Piergiorgio Pescali)

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Eccola! Finalmente, dalla cima della collina di Lian, la cittadina di Trondheim si staglia lungo il fiordo che sfocia nel mare. Sono ormai alla fine del sentiero di Gudbrandsdalen, sul Cammino di Sant’Olav, 640 chilometri che congiungono Oslo con la vecchia capitale della Norvegia, Trondheim, attraversando gli impervi altipiani interni della nazione scandinava. Un percorso meno famoso della via Francigena o del Cammino di Santiago, ma, proprio per questo, più selvaggio e meno affollato, quindi più adatto alla meditazione e all’avventura. «Ogni anno sono appena un migliaio i pellegrini che arrivano ai piedi della cattedrale di Nidaros, dove ha termine il sentiero», mi spiega Guro Vistad, del Centro Nazionale del Pellegrino di Trondheim. Così come le altre vie di pellegrinaggio, anche di Cammini di Sant’Olav ne esistono diversi; una ragnatela di percorsi che si snodano attraverso Svezia e Norvegia ricongiungendosi tutti a Trondheim. «Quello di Gudbrandsdalen, oltre ad essere il più antico, è anche l’unico che passa per Bonsnes, il luogo natale di Olav II Haraldsson, il monarca che, nell’XI secolo, completò la cristianizzazione della Norvegia» afferma Trine Neumann-Larsen, responsabile del centro di comunicazione del Cammino di Sant’Olav.

Discendente di Harald Bellachioma, primo re della Norvegia, la vita di Olav è infarcita di leggende, miti, agiografie che si mescolano alla realtà in un unico amalgama dal quale è difficile estrapolare i fatti storici da quelli inventati. L’Heimskringla, racconto epico del XIII secolo, racconta che nel 1014 Olav avrebbe aiutato Etelredo II a spodestare il danese Canuto il Grande dal trono d’Inghilterra, per poi recarsi in Normandia. A Rouen Olav si convertì al cristianesimo e venne battezzato prima di tornare in patria nel 1015 con un gruppo di prelati inglesi. Nel decennio successivo Olav riuscì ad unificare sotto la sua corona i vari Ting (le assemblee dei clan locali) meritandosi postumo l’appellativo di Rex Perpetuus Norvegiae. La popolazione norvegese che abitava lungo le coste aveva già abbracciato la religione cristiana; Olav, oltre ad espandere la fede anche nelle regioni interne, introdusse nel suo regno un’organizzazione ecclesiastica su scala nazionale. Un’operazione che si sarebbe anche prestata ad interessi egemonici, sul modello di quanto Olav aveva visto in Normandia. Nella prospettiva di quel tempo, una religione monoteista poteva essere presentata come lo specchio del regno con un solo re e il sovrano, controllando la Chiesa, avrebbe dominato incontrastato su popolo e proprietari terrieri.

Il dominio di Olav non fu certo indolore: tassazioni, soprusi e violenze segnarono il suo breve regno e nel 1029 l’antico rivale Canuto il Grande si prese la rivincita sconfiggendo Olav, che venne esiliato nella Rus’ di Kiev. L’atto finale della vita terrena si concluse il 29 luglio 1030 a Stiklestad, quando il tentativo di riconquista del regno fu ostacolato dai suoi stessi sudditi e contadini i quali riuscirono ad uccidere il sovrano. Le promesse di buon governo di Canuto non ebbero seguito e appena ad un anno dalla morte, il 3 agosto 1031, Grimketel, uno dei preti inglesi arrivati al seguito di Olav, riuscì a canonizzare il sovrano. «Il simbolo resta in piedi, anche quando l’uomo cade» scrisse il poeta Per Silve nel suo componimento Tord Foleson dedicato alla partecipazione di Olav nella battaglia di Stiklestad. Trina cerca di spiegare come abbia potuto un re ucciso dai suoi stessi uomini essere assunto a santità appena un anno dopo la sua morte. «La santità molte volte è separata dal simbolo e Olav, prima ancora di essere un santo, è un simbolo per tutta la Norvegia, un eroe nazionale». Ne è testimonianza il flusso di persone che iniziò, subito dopo la canonizzazione, a visitare il luogo di sepoltura attorno al quale, nel 1070 iniziarono i lavori di costruzione della cattedrale di Nidaros. La stessa cattedrale divenne luogo di incoronazione e di sepoltura dei re norvegesi».

«Come tutti i Cammini, anche questo è una macchina del tempo; ti costringe a ripensare al nostro passato e al nostro futuro» afferma Karin Aasen che ha appena concluso il percorso e posa accanto al cippo del km 0 di fronte alla cattedrale. Se il Cammino di Sant’Olav è il meno battuto e il più sconosciuto dei pellegrinaggi, lo si deve, oltre che alla posizione geografica, anche alla Riforma Luterana, che nella furia iconoclasta abolì tutte le forme di devozione alla santità, compreso il pellegrinaggio. Solo recentemente, dopo quattro secoli di oblio, il sentiero è stato riorganizzato. «È un percorso duro, a volte faticoso, ma è il modo migliore per conoscere la vera anima norvegese» rivela Grigory Lehmann, antropologo tedesco che intende percorrere i principali Cammini religiosi per scriverne un libro. Poco importa se, alla fine del viaggio, si viene a sapere che nessuno oggi sappia dove esattamente sia la tomba di Olav e nulla rimane delle sue reliquie (tranne, forse, un femore custodito nella chiesa cattolica di Sant’Olav a Oslo). Linnea Ferber, una ragazza svedese, è partita da Goteborg tre mesi fa lasciando alle spalle un periodo difficile fatto di alcol e droga: «Un pellegrinaggio lo fai non per pregare su una reliquia, ma per te stesso, per cambiare la propria vita. Ti aiuta a rinascere ogni volta».

Che sia una macchina del tempo, un mezzo per conoscere il popolo o te stesso, il Cammino è sempre stato un veicolo di comprensione e di interazione tra diverse culture. Il 16% della popolazione norvegese è formata da immigranti o figli di immigrati nati nel Paese: «Sono in molti a essere preoccupati per questa presenza e spesso si addossano all’immigrazione problemi che, invece, sono indipendenti da essa. Purtroppo certa politica fa leva su questi sentimenti per guadagnare consensi» lamenta Guro Vistad. La recente decisione di abbandonare l’export petrolifero (20% delle entrate del bilancio nazionale e 40% delle esportazioni) per salvaguardare l’ambiente ha suscitato non poche perplessità tra gli stessi norvegesi. «È un passo inevitabile, anche se ricco di incognite» afferma Siv Jensen, ministro delle Finanze e leader del Partito del Progresso di destra. L’oculata politica dei passati governi, volta al risparmio pensando al futuro, ha evitato lo sperpero dei proventi petroliferi portando alla creazione di un fondo nazionale che oggi conta 850 miliardi di dollari.

Dal 2025 la Norvegia vieterà la vendita di auto a combustibile fossile (già oggi il 19% delle nuove immatricolazioni è elettrico ed il 28,8% ibrido). Ma tutto questo non basta a rassicurare i norvegesi: la frase, ormai celebre, del primo ministro Erna Solberg secondo cui «il pesce sarà l’Ikea della Norvegia» non convince affatto. Un rapporto di Friends of the Earth stima che per rimpiazzare le entrate petrolifere bisognerebbe pescare una quantità di pesce almeno sette volte quella attuale distruggendo così l’habitat. Maggiori speranze si possono riporre nelle energie alternative e nelle startup, anche se gli investimenti in questo settore sono inferiori che negli altri Paesi scandinavi. La Norvegia, capofila in questa nuova esperienza, potrà fungere da esempio per una nuova economia veramente più sostenibile ed etica.

Un percorso di 643 chilometri lungo la storica via dei Re

Olav II nacque nel 995 da una famiglia nobile discendente del primo re di Norvegia. Considerato come colui che ha cristianizzato il Paese, la Legge di Sant’Olav fu, per cinque secoli, la legge ecclesiastica della Chiesa norvegese. Il giorno della sua morte, avvenuta sul campo di battaglia di Stiklestad il 29 luglio 1030, è ricordato ogni anno a Trondheim, nella cui cattedrale è sepolto. Qui si radunano i pellegrini che percorrono il Cammino di Sant’Olav, il cui principale percorso si dilunga per 643 chilometri lungo la storica via dei re, da Oslo a Trondheim. I pellegrini possono contare su un’attenta organizzazione: il sentiero è disseminato da 161 alloggi, per lo più fattorie e B&B, 50 ostelli e 11 gapahuker, rifugi. A chiunque percorra a piedi almeno gli ultimi 100 chilometri o, se in bici, gli ultimi 200 chilometri, viene rilasciato un attestato nominativo, l’Olavbrevet, o la Lettera di Olav.

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