Caro direttore,faccio parte di quella larga schiera di cattolici praticanti che amano avere un fitto e proficuo dialogo con il loro Creatore e che sentono il bisogno e il piacere di questo dialogo sia nella Comunione che nella Confessione. Di solito ho il mio punto di riferimento in un direttore spirituale, ma per le festività pasquali non sono riuscita a trovare un pomeriggio per raggiungerlo e con mio marito siamo andati in una Basilica a noi vicina per poterci confessare prima della funzione. Arrivati con una trentina di minuti di anticipo, abbiamo atteso davanti ai confessionali vuoti. Solo a funzione iniziata è giunto un sacerdote per le confessioni. La chiesa era gremita di fedeli e tante persone, vedendo un confessionale funzionante, si sono accalcate. Ero la prima, avevo avuto tempo per raccogliere bene le idee, avevo alle spalle un buon esame di coscienza, ho iniziato la mia confessione a ritmo serrato e alla seconda frase, appena ho preso fiato, il prete è partito con un’assoluzione sprint "sulla fiducia"... con mia iniziale sorpresa e quindi ilare comprensione... effettivamente la fila era parecchio lunga per un solo povero prete!In quel momento l’ho pensata, ho pensato alla sua rubrica... sicuramente questo è, in modo relativo, un mio problema e la prossima volta mi organizzerò per tempo per poter celebrare una Confessione così come sono abituata, ma mi chiedo se questo tipo di esperienza sia frutto della crisi delle vocazioni, per cui oggi le parrocchie non hanno più abbastanza preti da poter adibire alle Confessioni prima dell’inizio della Messa, oppure di una tacita rinuncia del clero rispetto alle esigenze delle persone che in Chiesa ci vanno e che esprimono l’esigenza di confessarsi con file pazienti. Sicuramente l’esperienza della Confessione trascende il solo momento nel confessionale, matura prima già nel nostro cuore per poi esprimersi nel rito in un dialogo di riconoscimento del nostro peccato e nell’esperienza dell’accoglienza amorosa del nostro Creatore... ma a Pasqua mi è parso che sia approdata anche lì, nel cuore dell’amore di Dio per noi, la cultura del fast food, della velocità... e mi sono chiesta come si sarebbe sentito chi si avvicina al Sacramento con dubbi, quale esperienza avrebbe poi tratto... in tutta sincerità credo che anche l’Altissimo presente con me in quel confessionale abbia scosso amorevolmente la testa e con occhi benevoli e senso dell’umorismo abbia accennato un sorriso. Le auguro una buona giornata e le faccio i complimenti per il modo con cui dirige Avvenire.
A.L.R.
Un’esperienza come la sua, gentile signora, a me non è mai toccata. E ne sono contento. Come lei abito anch’io in una grande città, anzi in due – vivo e lavoro, infatti, tra Milano e Roma e per di più, ormai da anni , in una condizione pendolare (o, se vuole, nomade) pure nell’andare a Messa... Comprendo però bene la sua perplessità e la sua amarezza e mi pare giusto e bello che – sopra di lei e dentro di lei – sia riuscita a trovare il «sorriso» necessario per superare entrambe. La tentazione del fast
, della velocità, oggi è diffusa ovunque. E non è un mistero che anche in chiesa certa sbrigatività (persino nell’amministrazione dei sacramenti) ogni tanto affiora e magari sconcerta... Ma sin da bambino ho imparato a considerare la riconciliazione un dono, comunque un dono. E, anno dopo anno, ho potuto verificare che davvero molti dei sacerdoti che m’è accaduto di incontrare avevano qualcosa da farmi scoprire sull’ascolto, sul consiglio e sul perdono. Per questo, come lei, sono uno di quelli che davanti al confessionale ha più attese che dubbi. «Legittime attese», mi pare che disse il Papa in un’udienza del mercoledì di più o meno un anno fa. La stessa udienza nella quale esortò i preti a «tornare al confessionale», da considerare non solo «come luogo nel quale celebrare il sacramento della riconciliazione», ma anche – citando le sedici ore quotidiane di cui era capace il santo curato d’Ars – «come luogo in cui abitare più spesso». Già, il confessionale è uno dei posti dove si manifesta e si sperimenta la pazienza di Dio, che siamo noi a mettere alla prova. E allora, se qualche volta è a noi che un po’ di pazienza viene chiesta... Sorriderci su, ragionarci a dovere, e dire comunque grazie, è sempre una buona pratica. E a proposito di grazie, vorrei dirlo io a lei per l’incoraggiamento nel nostro lavoro e per gli auguri, che ricambio.