Smettete, per favore, di proporre la senatrice Liliana Segre come prossima Presidente della Repubblica. È un’offesa all’intelligenza, degli italiani e innanzi tutto all’intelligenza della signora Segre, che già sperimenta alla sua età lo sconcerto – che disonora questo Paese – di dover vivere sotto scorta; e questo per la sola "colpa" di ricordarci, con la sua stessa esistenza, l’innominabile della tragica storia del Novecento europeo.
È al regime della logica intuitiva che appartiene l’ovvietà che il/la Presidente della Repubblica debba essere persona di grande autorevolezza e capacità politica. Lo prevede il buon senso per i compiti che la Costituzione assegna. E lo prevedono tanto più gli scenari da far tremare le vene ai polsi della crisi delle istituzioni di questo Paese e del quadro europeo in cui è inserito, squassato da populismi sovranisti che niente di buono promettono alle nuove generazioni. Immemori dei settant’anni di pace che nel bene e nel male la costruzione europea ha loro garantito. Sul fondamento di valori – libertà, dignità umana, rigetto della barbarie dei totalitarismi e dei nazionalismi guerrafondai, e di ogni fomite di violenza – in cui due generazioni di europei hanno vissuto senza sapere quel che c’era prima. E che la testimonianza di Liliana Segre ci ricorda nel modo più nobile, mentre non pochi hanno perso la consapevolezza che la storia è magistero, del bene che è custodito e del male, cui va impedito di tornare. Di tutto ciò la signora Segre è un Magistero vivente.
Ma proprio il rispetto che dobbiamo a questa testimonianza, e a questo magistero della memoria, ci impone di non portare il cervello all’ammasso del politicamente corretto, che già tanti danni ha fatto anche quando è stato animato dalle migliori intenzioni. Immaginare di trasformare la Presidenza della Repubblica nell’ennesima bandierina simbolica è quanto di peggio si possa fare per smontare quel poco che resta delle istituzioni repubblicane. Far traslocare dal Quirinale, quella funzione di garanzia e tutela della Costituzione, e di "motore di riserva" previsto dalla Carta, quando la patologia politica vede entrare in crisi – e negli ultimi decenni ne sappiamo qualcosa – il motore principale (Governo e Parlamento) dell’ordinamento repubblicano, riducendo la massima delle nostre magistrature a simbolo, sarebbe esiziale.
Penso non si debba aggiungere altro sulla narrazione "presidenziale" che sta prendendo piede. Evitiamo di creare simboli per continuare a non risolvere i problemi che quei simboli propongono alla nostra responsabilità civile e politica. Credo che la prima a essere d’accordo con questa nota sarà la Senatrice, per la quale altro sentimento non possiamo provare che la devozione per la sua stessa presenza nella barbarie di questi tempi.