Sophie Scholl con un gruppo di giovani soldati fra i quali il fratello Hans, Alex Schmorell 1942-1943
Il 22 agosto un quotidiano pubblicava la notizia secondo la quale in Islanda i bambini con la sindrome di down stanno scomparendo per il semplice motivo che non vengono fatti nascere. In realtà la notizia non è nuova. L’aveva anticipata qualche anno fa Jean Vanier, lo straordinario fondatore delle comunità dell’Arche, tanto benemerite nell’accogliere le persone down e nell’affiancare le loro famiglie con interventi mirati. Dichiarava dunque Vanier: presto in Francia non ci sarà bisogno delle comunità da me fondate perché i bambini down non vengono più fatti nascere. La giustificazione a supporto della scelta suggerita ai genitori, in particolare alle mamme, dai media e dai manipolatori dell’opinione pubblica è che esse devono essere libere di poter decidere autonomamente senza tenere in nessun conto il diritto alla vita del bambino. È possibile, tuttavia, che non ci si renda conto della carica eversiva presente in questa argomentazione? Dell’attentato al quinto comandamento, quel 'non uccidere' che, secondo molti studiosi, segnò l’inizio della civiltà?
Non è la prima volta che l’umanità si trova di fronte a questa minaccia. L’avevano anticipata nel secolo scorso i nazisti ai quali rispondeva dall’altare il vescovo di Münster in Westfalia, il beato cardinale Clemens Augustvon Galen: «Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti… Nessuno è più sicuro della propria vita ». Né si può distogliere lo sguardo dall’ignominia. Dichiarava in una poesia divenuta famosa il pastore protestante Martin Niemöller: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali… Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare». Questa affermazione richiama alla memoria la frase altrettanto celebre di un altro pastore protestante, Dietrich Bonhoeffer: «Non può cantare il gregoriano chi non leva la voce per gli ebrei».
Di nobile famiglia, Bonhoeffer, nato nel 1905, ereditò dalla mamma la generosità spontanea, mentre dal padre apprese la capacità di prevedere la conseguenza delle proprie scelte e l’avversione ai luoghi comuni. Divenuto pastore nel 1930, Dietrich esercitò per alcuni anni il ministero pastorale. Aderì poi alla Chiesa confessante che rifiutava qualsiasi compromesso con il regime nazista. Fu quindi nominato rettore di un piccolo seminario illegale per la formazione dei giovani pastori. Ai seminaristi egli insegnò la fedeltà alla terra, alla realtà nella quale ogni cristiano è chiamato ad agire, da creatura responsabile. Alla chiusura del seminario, si trasferì in America, ma presto sentì l’esigenza di ritornare in patria per condividere le sofferenze di quanti si opponevano alle angherie della dittatura. Arrestato nel 1943, venne impiccato in carcere l’8 aprile del 1945. In campo cattolico merita di essere ricordato il beato Bernhard Lichtenberg. Nato ad Ohlau in Slesia nel 1875, Lichtenberg divenne sacerdote nel 1899 e svolse una intensa attività pastorale nella diocesi di Breslavia. Dopo l’istituzione della diocesi di Berlino nel 1931, diventò parroco della Chiesa di Charlottenburg nella capitale tedesca e nel 1938 prevosto della cattedrale di sant’Edvige.
Il giorno successivo alla notte dei cristalli, il 9 novembre del 1938, dichiarò pubblicamente: «Che è stato ieri lo sappiamo. Che sarà domani non lo sappiamo. Ma quello che è successo oggi l’abbiamo vissuto. Là fuori il tempio è in fiamme. Anche esso è una casa di Dio». In seguito Lichtenberg pregò in pubblico ogni giorno per gli ebrei e i 'cristiani non ariani' e per tutti gli altri perseguitati e i bisognosi. Protestò poi vigorosamente contro il programma di eutanasia del regime. Firmò così la sua condanna. Arrestato nel 1941, nonostante le precarie condizioni di salute, morì due anni dopo mentre veniva trasferito nel campo di concentramento di Dachau. Beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1996, è stato riconosciuto come giusto tra le nazioni nel 2004. Da Berlino a Monaco, dalla capitale del Reich al capoluogo bavarese dove Hitler aveva dato inizio alla sua folle avventura.
Qui incontriamo un altro famoso oppositore del regime, il gesuita Alfred Delp. Proveniente da una famiglia mista nella quale il papà era evangelico e la mamma cattolica, dopo un periodo di incertezza optò per la confessione cattolica e decise di entrare presso i gesuiti. Ordinato sacerdote nel 1938, fu per qualche anno redattore della rivista Stimmen der Zeit, le voci del tempo. Divenne poi rettore della Chiesa di san Giorgio a Bogenhausen e contemporaneamente aiutava gli Ebrei a fuggire in Svizzera. Su suggerimento del padre provinciale Augustin Rösch entrò infine in contatto con il circolo di Kreisau che raccoglieva un gruppo di militari, civili ed ecclesiastici contrari al nazismo. Prevedendo la fine del regime, i membri del circolo si incontravano con lo scopo di preparare un nuovo ordine sociale. Delp aveva il compito di spiegare la dottrina sociale cattolica e di favorire i contatti con le autorità ecclesiastiche. Dopo il fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944, padre Delp venne arrestato. Trasferito nel carcere di Berlino Tegel, dopo qualche tempo ricevette la visita di un confratello davanti al quale pronunciò i voti solenni che lo legavano definitivamente all’ordine dei gesuiti. Scrisse nell’occasione: «Ho pregato tanto per questo. Ho dato via la mia vita. Le mie catene non hanno più senso perché Dio mi ha reso degno dei vincula amoris, delle catene dell’amore». Venne giustiziato il 2 febbraio del 1945.
Sempre a Monaco fu attiva negli anni della guerra la Rosa bianca, un gruppo di giovani di ispirazione cristiana contrari al nazismo. Qui ricordiamo in particolare la donna del gruppo, la giovane Sophie Scholl. Nacque nel 1921 a Früchtenberg, una cittadina del Baden-Würtemberg. Come il fratello Hans, cui era particolarmente legata, da bambina aderì alle organizzazioni giovanili naziste, ma poi se ne distanziò con crescente convinzione. Gli studi classici e la sua ricerca di senso la allontanarono dagli ideali del regime. Si avvicinò allora al movimento Quickborn (sorgente viva) guidato da Romano Guardini. Amante della natura, spesso Sophie camminava nei campi ammirando la linea degli abeti e respirando il profumo del muschio. Ha lasciato scritto nel suo diario: «Nel mio godere della bellezza si è inserito un elemento sconosciuto, un presagio del Creatore, che ogni creatura innocente loda la sua bellezza. Per questo soltanto l’uomo è capace di essere veramente crudele, perché è libero di dissociarsi da questo canto di lode. E adesso si potrebbe spesso pensare che lo faccia, coprendo questo canto col rumore di cannoni, di maledizioni e di bestemmie. Ma il canto di lode ha il sopravvento… ed io voglio fare tutto quello che è possibile per associarmi alla sua vittoria».
Nel 1941 Sophie aderì alla Rosa Bianca e l’anno successivo si iscrisse all’università di Monaco, già frequentata dal fratello Hans. Con il fratello e gli amici ebbe l’idea di stampare alcuni volantini clandestini che vennero inizialmente inviati ad amici e conoscenti, successivamente distribuiti in università. Gli scritti esprimevano una sofferta e convinta testimonianza cristiana, l’obbedienza alla legge della coscienza. Il 18 febbraio del 1943 Sophie insieme al fratello Hans e a Christoph Probst stava distribuendo i volantini in università, ma venne vista da un bidello che avvisò la Gestapo. Arrestata insieme al fratello e all’amico venne con loro immediatamente incarcerata e, dopo un processo farsa, condannata a morte e giustiziata. Disse Guardini ricordando i giovani della Rosa bianca: «La loro vita risuona come il canto di una umanità nobile…
La loro vita è una profezia. I fratelli Scholl videro che la storia andava in direzione dell’oppressione e testimoniarono il bisogno di libertà dell’uomo». Ritornando per un attimo alla mancata nascita delle persone down vale la pena ricordare la frase di Sophie secondo la quale ogni creatura loda il Creatore. Nessuno, dunque, può porre termine a questo canto di lode che, secondo l’espressione di Gesù, è anche quello più gradito a Dio perché ai semplici il Padre ha rivelato i misteri del regno.
BIBLIOGRAFIA
Di Dietrich Bobhoeffer hanno scritto in Italia Italo Mancini, Ugo Perone e Alberto Gallas. L’opera più recente è Fulvio Ferrario, «Dietrich Bonhoeffer», Carocci, Roma 2014. Le opere di Bobhoeffer sono state pubblicate in Italia dall’editrice Queriniana di Brescia in 10 volumi, 1991-2007. Sul beato Bernhard Lichtenberg cfr. B. e L. Stuhlmeyer, «Ich werde meinem Gewissen folgen», Topos plus Verlaggemeinschaft, Kevelaer 2013; B. Gaydosh, «Bernahrd Lichtenberg. Roman catholic priest and martyr of the Nazi regime», Lanham 2017. Su Alfred Delp ha lavorato il confratello gesuita Roman Bleistein: «Alfred Delp. Storia di un testimone», edizioni san Paolo, Cinisello 1994. Sulla Rosa bianca e Sophie Scholl cfr. Paolo Ghezzi, «Sophie Scholl e la rosa bianca», Morcelliana, Brescia 2003; cfr. anche Inge Scholl (sorella di Hans e Sophie), «La Rosa bianca», Itaca, Castel Bolognese 2006. Alla Rosa Bianca e alla figura di Sophie Scholl è infine dedicato il film di Marc Rothemund, «La Rosa bianca - Sophie Scholl. Gli ultimi giorni». Girato nel 2005 vinse l’orso d’argento a Berlino e venne candidato all’oscar come miglior film straniero. (E.G.)