L’edizione 2020 del 'Rapporto Giovani' segna l’ingresso dell’indagine annuale curata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo (l’ente fondatore dell’Università Cattolica, che domenica 20 settembre celebra la 96esima giornata) nell’ambito dei consumi culturali dei giovani. Si tratta di un fenomeno molto complesso e articolato. Anzitutto perché diviene sempre più difficile, nella società odierna, stabilire cosa stia dentro il perimetro della “cultura”. Ci sono sempre più “oggetti” che oggi incorporano un elevato contenuto simbolico, tale da farne a tutti gli effetti una forma culturale.
A questa tendenza si sono aggiunte recentemente altre importanti trasformazioni che riguardano il consumo e le sue pratiche. Da un lato, anche le pratiche di cittadinanza tendono sempre più a definirsi entro il consumo stesso e non come sua negazione: basti pensare al consumo critico e alla nascita della sharing economy. Si tratta di tendenze e comportamenti che implicano un consumo ma che sono allo stesso tempo “anticonsumiste”; che riescono o per lo meno provano a scardinare il nesso consumomercificazione- individualismo-spreco.
In secondo luogo, grazie soprattutto alla tecnologia digitale, si stanno producendo innumerevoli trasformazioni: anzitutto, il digitale rende possibili forme di fruizione e consumo sempre più personalizzate nelle modalità di accesso e nelle coordinate spazio-temporali; inoltre la rete sta modificando il rapporto tra fruizione pay e fruizione free di contenuti e servizi. Infine, grazie alla sua interattività e alla sua vocazione sociale – ben visibile nella fase del lockdown – la rete consente un differente mix di produzione e consumo, favorendo l’ingaggio attivo del consumatore nelle pratiche di produzione e diffusione dei prodotti culturali (e non solo), offrendo nuove possibilità di espressione, impegno e partecipazione, dentro e fuori il circuito mediale.
La nostra indagine sui consumi cultuali dei giovani si è concentrata su quei consumi e quelle pratiche che per tradizione si ritengono esplicitamente culturali (leggere, visitare mostre e musei, andare al cinema e ai concerti) ma ha provato anche a osservare pratiche, oggetti e dimensioni che possono rilevare oltre al consumo culturale “esplicito”, l’emergere di nuove tendenze culturali. A queste, ovviamente, si sono poi aggiunti gli effetti e l’impatto del Covid e di ciò che il periodo di lockdown ha attivato sia in termini di consapevolezze sia in termini di adozione di nuove pratiche di consumo, il cui effetto “permanente” è ancora tutto da valutare.
L’indagine, pubblicata nel Rapporto Giovani 2020 (il capitolo dedicato al consumo culturale è stato curato da F. Introini, D. Mesa e P. Triani, ndr), ha permesso di fotografare il seguente quadro. Sotto il profilo dei consumi legati alla sfera dei media e in particolare dell’accesso ad alcuni servizi online, il 54,2% dei giovani dichiara di utilizzare almeno una piattaforma free per la visione di streaming video, il 39,3% ne utilizza almeno una pay, a pagamento. Musica: 47,4% free, 27,1% pay. Informazione: 36,4% free (cioè almeno un quotidiano online gratuito), 10,8% pay. I dati mostrano quindi che gratuità non è sinonimo di «universalità». La gratuità non sembrerebbe un volano sufficiente all’innesco di esperienze di consumo, non solo con riferimento a quelle più 'impegnative', ma anche a quelle più 'soft'.
Riguardo alla dotazione tecnologica, non stupisce più osservare l’onnipresenza dello smartphone (ne possiede uno il 98,6% del campione), mentre è forse meno scontato sapere che il 92,5% dei giovani intervistati possiede un pc strettamente personale. Inoltre più di un giovane su tre (36,5%) possiede uno strumento musicale, a testimonianza di come le esperienze culturali dei giovani siano sì legate ai consumi, ma modellate anche da un desiderio di produzione e partecipazione. I n questa stessa direzione va letto il fatto che circa il 15% del campione ha dichiarato, nei sei mesi precedenti all’indagine, di aver inviato a un produttore la 'demo' di una propria performance artistica, di a- ver partecipato a un provino/selezione per un programma televisivo, di essersi esibito di fonte a un pubblico (sia in teatro sia in una performance di strada).
Meno coinvolgente sembra essere, dai nostri dati, la dimensione della partecipazione associativa: i gruppi che attualmente catalizzano la quota più alta di aderenti sono i gruppi organizzati di fan, sia online sia offline (14%); quelle che totalizzano minore partecipazione sono invece le associazioni legate alla difesa dei diritti umani (7,3%). Questo dato non deve essere letto come indifferenza alla dimensione della vita collettiva, ma come indicazione del fatto che i giovani cercano altrove le loro “pratiche di cittadinanza”. Del resto, il 71,9% degli intervistati afferma che è molto/abbastanza importante che ciò che si consuma/fruisce nel tempo libero sia conforme a canoni di eticità e legalità. Rispetto invece all’utilizzo di servizi che richiedono l’accesso a piattaforme sharing e che indicano un modo “altro”, tendenzialmente orientato alla sostenibilità, di fruire di beni e servizi, il 24% dei giovani dichiara di essere iscritto a una piattaforma di homesharing, il 20,8% a una di carsharing/carpooling, il 16,7% è iscritto a piattaforme dedicate al baratto, il 13% a un servizio di bikesharing. Un giovane su dieci circa appartiene a un Gruppo di acquisto solidale (“Gas”), di utilizzare spazi di coworking, piattaforme per la collaborazione tra vicini di casa, banche del tempo.
Nel complesso, i consumi dei giovani tendono a riconoscere come più importanti per loro le aree oggi maggiormente 'in vista' e di tendenza anche all’interno dei discorsi sociali: tra le esperienze/prodotti giudicati molto/abbastanza importanti primeggiano film e serie tv (72,2% su piattaforme streaming, 54,2% da DVD/Blu-Ray), pratiche di lifestyle (fare viaggi/vacanze: 63,1%; consumare cibi e bevande di qualità: 64%, andare al ristorante: 54,7%), acquistare tecnologia (60,9%); fruire musica (59,9% da cd/mp3, 57,9% in forma “liquida”). Tra le forme di consumo culturale outdoor (sfera degli spettacoli), si corrobora il particolare feeling tra i millennial e il cinema (56,1%), mentre è inferiore la percentuale di chi ritiene abbastanza/molto importante l’andare a concerti pop/rock (36,6%) e l’assistere a spettacoli sportivi dal vivo (33,5%). Per quanto riguarda i consumi tradizionalmente ritenuti culturali – e più precisamente espressione di cultura “alta” – visitare mostre e musei è molto/abbastanza importante per il 47,1% dei giovani e leggere libri per il 53,2% (i libri primeggiano decisamente su quotidiani, riviste e fumetti). Musica classica e teatro rimangono esperienze di nicchia, molto/ abbastanza importanti, rispettivamente, per circa il 18% e per il 20%.
La “vita digitale” è apparsa, forse per la prima volta in tutta evidenza, non come sostituto della vita sociale, ma come sua possibilità di proseguire, con strumenti diversi. Il 71% ha così sopportato l’isolamento La rete sta modificando il rapporto tra fruizione a pagamento e fruizione gratuita di contenuti e servizi
Prima dell’emergenza Covid, i giovani abitavano ampiamente il territorio variegato dei consumi culturali. E d’altro canto emerge una stretta relazione tra il titolo di studio e la “voracità” di consumo che è trasversale rispetto alle forme, ai prodotti e ai contenuti. Chi è più istruito tende a consumare di più non solo all’interno delle nicchie tradizionalmente ritenute espressione della “cultura alta”, ma anche rispetto alla dimensione più “pop” legata all’evasione, alla ludicità e alla socialità. L’ampia disponibilità di esperienze culturali mediali e digitali non sottrae importanza alla vita di relazione. Inoltre l’elevata disponibilità di prodotti e servizi altamente personalizzabili e in alcuni casi free messi a disposizione del digitale non sostituiscono il bisogno di esperienze di consumo legate alla relazione, all’incontro, al viaggio. Sotto questo punto di vista, il lockdown ha sicuramente “esaltato” e rinforzato alcune forme di consumo digitale sia rispetto all’intrattenimento, sia rispetto all’approvvigionamento di beni di prima necessità, spingendo verso pratiche di consumo digitale anche coloro che non vi erano tradizionalmente dediti.
Tuttavia, se si guarda l’importanza e il modo in cui i social network sono stati utilizzati dai giovani italiani durante il lockdown, emerge in maniera chiara come la stessa “vita digitale” sia apparsa, forse per la prima volta in tutta evidenza, non come sostituto della vita sociale, ma come sua possibilità di proseguire, con strumenti diversi. Il 53% ha infatti affermato che collegarsi ai social durante il lockdown gli ha consentito di dare concretamente aiuto ai propri conoscenti, il 52,5% di riceverlo, mentre il 71,2% ha riconosciuto che stare sui social gli ha consentito di vincere la solitudine durante la quarantena.