I piccoli, anche a nome nostro
venerdì 2 aprile 2021

Affidare le riflessioni e i disegni della Via Crucis di quest’anno, tanto difficile e speciale, significa innanzitutto rilanciare il grande tema educativo così centrale nel magistero di papa Francesco. Inoltre ci aiuta a comprendere il lascito insieme drammatico e prezioso della pandemia. È accaduto tutto molto in fretta: la stessa rapidità che dalle lacrime di sangue piovute sulla terra del Getsemani ci porta alla salita sul monte del Calvario, l’abbiamo ritrovata tra i primi contagiati e la tragica conta dei morti che ogni giorno siamo costretti a registrare. Come nelle peggiori sciagure, un’ombra gigantesca ha nuovamente oscurato il pianeta. Adesso, leggendo i testi composti dai bambini per accompagnare, sul sagrato della basilica di san Pietro, le quattordici stazioni percorse dal Nazareno condannato alla pena capitale, abbiamo l’impressione di essere ancora, noi tutti sconsolati, sotto la croce a osservare sgomenti l’agonia di lui e di tanti nostri cari. Ne usciremo, in un giorno forse più vicino di quel che crediamo, ma intanto siamo nel gorgo, affranti e disperati.

«Eloì, Eloì, lemà sabactàni…». È questa, lo sappiamo, nel richiamo al salmo di Davide, la notte senza tempo del dolore più assoluto, il fosso profondo di tutte le occasioni perdute. I più piccoli parlano dunque anche a nome nostro elencando, a modo loro, nelle meditazioni alternate alle preghiere, ciò che il terribile morbo sta insegnando al genere umano, perlomeno agli individui propensi a mettersi in posizione di ascolto: coloro che, rifiutandosi di cedere allo sconforto, decidono di volgere lo sguardo verso il futuro, nel solco più autentico di ogni vera passione pedagogica.

Scorrendo i pensieri degli scout Agesci del gruppo "Foligno I" e dei ragazzi del catechismo della parrocchia romana dei Santi Martiri dell’Uganda, ritroviamo la matrice di un desiderio comune al quale sarebbe difficile sottrarsi: la richiesta di un’azione tesa a sanare l’oltraggio del principio in cui puntiamo (intervenendo a favore di chi versa in stato di bisogno), il valore paradossale del fallimento da cui può nascere una scintilla in grado di farci entrare nella dimensione corale (anche accettando un brutto voto), l’amore senza misura della madre nei confronti dei figli (nella dedizione quotidiana spesso ignorata all’esterno), l’amicizia come sentimento capace di superare gli steccati financo interiori, l’elaborazione del lutto per i tanti nonni vittime del Covid, la solitudine estrema quale esito finale delle perdute relazioni sociali. Le quinte scenografiche di tali consapevolezze non sono le aule accademiche dove discettano dotti e sapienti, ma gli ambienti domestici spesso ristretti in cui crescono i ragazzini, fra partite di pallone, recite scolastiche, corsi di recupero, pomeriggi consumati nel vuoto. Il colpo che hanno subito è sotto ai nostri occhi. Gli schermi delle piattaforme digitali usati per la didattica on line continuano a mostrare un’Italia ferita, ma resistente e piena di forza vitale. Come sempre la famiglia contiene nella sua bolla a volte asfittica il lavoro incessante delle generazioni poste a confronto le une con le altre in un passaggio di consegne che non è mai semplice e chiede all’intera comunità di provvedere al sostegno organizzato.

A me vengono in mente le storie dei tanti adolescenti privi di qualsiasi supporto, i cosiddetti minori non accompagnati, provenienti da ogni parte del mondo, che ho conosciuto nella mia vita di educatore: certi loro venerdì santi sembrano non avere fine! Isack, il quale vorrebbe tornare in Afghanistan a rivedere sua madre sapendo che purtroppo non ci riuscirà mai. Ramin, in corsa sui pedali per consegnare la pizza, nella speranza di poter restituire al padre la somma che lui gli prestò per farlo venire da noi. Ibrahim, sorridente su Facebook nonostante non sappia cosa farà domani. Eppure sono stati questi ragazzi, sempre pronti a rialzarsi dopo essere caduti a terra, a farmi intravedere il bagliore che spunta dietro il Golgota.

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