L'asso rimane tuttavia l’alto numero di cittadini con passaporto europeo che hanno raggiunto i territori del califfato. Dalla metà del 2013 a oggi, la stima dei pendolari del jihad partiti dall’Europa sarebbe cresciuto da 500-1.000 persone a oltre tremila, tra cui un migliaio dalla Francia e 53 dall’Italia. Questi combattenti possono non solo muoversi liberamente entro i confini Schengen, ma anche (almeno in teoria) volare negli Stati Uniti o in altri Paesi terzi senza visto. Diventa prioritario monitorare non solo i sospettati di reclutamento, ma anche gli spostamenti di chi fa ritorno in patria. La notizia del Financial Times secondo cui l’Is avrebbe giustiziato almeno cento combattenti stranieri che volevano tornare a casa induce a pensare che coloro che fanno ritorno in Europa siano stati mandati proprio per compiervi degli attentati. Difficile saperlo con certezza, ma la vigilanza rimane d’obbligo. Come pure il coordinamento con i Paesi che rimandano indietro gli aspiranti jihadisti. Il ministro degli Esteri turco ha parlato di oltre mille stranieri provenienti da 75 nazioni differenti espulsi dal suo Paese negli ultimi due anni. Ma non è sempre così. È ancora vivo il ricordo della clamorosa gaffe che ha permesso, lo scorso settembre, a tre presunti jihadisti espulsi dalla Turchia di lasciare indisturbati l’aeroporto di Marsiglia mentre gli agenti francesi li attendevano all’aeroporto di Parigi. Un particolare motivo di preoccupazione per l’Italia e la Francia, il numero di tunisini che si uniscono all’Is, stimato tra i 3.000 e i 5.000 su 11 milioni di abitanti. Senza parlare di altre migliaia che sono state fermate dalle autorità locali. Segno di una radicalizzazione che sta invadendo anche Paesi tradizionalmente moderati. Nel 2008 la Tunisia occupava la settima posizione per numero di jihadisti inviati in Iraq (solo 33) e la terza rispetto al numero di abitanti. Oggi, invece, è prima su ambo i fronti, battendo la stessa Arabia Saudita, considerata fino a poco tempo fa il maggior 'fornitore' di jihadisti. La ragione che sta dietro questo boom è principalmente la propaganda jihadista sui social network, che si sono rivelati un efficace strumento di reclutamento virtuale di giovani, e prima del contatto fisico che avviene solo sulla frontiera siriana. Quello del web assomiglia al gioco del gatto e il topo, dove l’account soppresso (sono migliaia) viene subito riaperto sotto un’altra identità. La polizia d’Oltralpe ammette che i due terzi delle persone autoradicalizzate attraverso il web non erano conosciute dai servizi e che i casi riguardano sempre più delle ragazze. I network permettono non solo di dispensare consigli pratici sul come partire senza destare attenzione, ma anche di raggiungere i connazionali nella loro lingua madre, grazie al lavoro di jihadisti cresciuti in Europa che non esitano a minacciare, con appositi video, i propri Paesi d’origine in nome di un’ideologia letale.
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