Teresio Asola
Caro direttore,
Fabrizio Floris
Muri e reticolati non sono mai “buoni” e non vengono alzati per caso. A Calais, al Brennero, ai confini ungheresi o a quelli macedoni, o anche solo nelle teste degli esseri umani. Perché muri e reticolati prendono consistenza poco a poco e stanno aumentando di numero e di estensione nella nostra Europa, ma cominciano a esistere e trovano fondamenta – lo dico al lettore Asola, che sono certo mi capirà benissimo – non appena vengono annunciati, evocati, persino invocati. E, insisto, non vengono alzati per caso. E quasi mai per i motivi dichiarati. Faccio un esempio, per farmi capire. Solo un esempio, ma volutamente e particolarmente duro. I muri e i reticolati che circondavano i campi di sterminio nazisti – dove venivano rinchiusi e sterminati ebrei, rom e sinti, omosessuali e gli oppositori politici, morali e spirituali al Terzo Reich – sostenevano la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Una menzogna deliberata e feroce. Le barriere che si progettano ai varchi di frontiera nel nostro mondo globalizzato e segnato dalle migrazioni forzate per guerra, fame e cambiamenti climatici sono democraticamente sovrastati da slogan, formalmente ineccepibili e altrettanto condivisibili di quello: “Legge e ordine” o, magari, “Impediamo che si ammazzino”. A Calais lo slogan è proprio questo: facciamo finire le morti in corsa di coloro che cercano di saltare sui Tir che divorano asfalto verso l’Inghilterra. Una falsità, di parole innocenti che coprono azioni e intenzioni colpevoli. Perché per far finire certe assurde tragedie, e prima ancora le migrazioni per forza, la strada maestra è quella netta e diritta che indica nella sua lettera il dottor Floris. Smetterla di alimentare e perpetuare ingiustizie e guerre, smetterla di vendere armi e di saccheggiare terre e popoli, ma smetterla davvero. Programma troppo ambizioso? Non lo nego, ma si può forse concepire e accettare un programma meno forte di questo al cospetto dell’umanità di cui siamo parte, e nella quale nessuna persona merita di essere etichettata come “clandestina” per odioso decreto d’altri? E si possono continuare a sfornare per noi stessi alibi pesanti come il cemento armato (mai aggettivo fu più rivelatore) di questi muri e taglienti come i fili spinati del XXI secolo?Aggiungo solo due parole. Qualcuno ieri si è sorpreso, e qualcun altro si è persino sdegnato, dell’allarmata e corale attenzione che la stampa italiana – questo giornale in testa – ha dedicato al “muro inglese” anti-immigrati che si vuol realizzare in terra di Francia. Questo stupore stupisce e quello sdegno indigna. Il problema è di coloro che non vedono più i muri e i reticolati, che credono agli slogan e non guardano in faccia le persone in fuga dalle terre dove sono nati. Il problema di coloro che non leggono più (e non vogliono cambiare) la brutta storia che stiamo scrivendo, anche noi, sulla pelle dei poveri. Se sono cronisti, colleghi nostri, il problema è grave. Se sono politici, è gravissimo. A questo purtroppo siamo.