Ora che il discusso numero del 'National Geographic' con il gender in copertina si è fatto conoscere direttamente anche dai lettori italiani ('Avvenire' ne ha parlato ampiamente) bisogna riconoscere che il servizio centrale «Questioni di gender» è esemplare – è il caso di dire – nel suo genere: include argomentazioni, slogan, ma soprattutto strategie e obiettivi di chi mira a costruire quel Mondo Nuovo in cui la specie umana non è più caratterizzata dall’essere uomini e donne ma da individui la cui identità sessuale è uno 'spettro', cioè un continuo di possibilità, senza distinzioni nette l’una dall’altra. Ma, anche per un gioco di parole non voluto ma inevitabile, 'spettro' pure nel senso letterale: un fantasma, impalpabile e indefinito, oggetto di leggende e verità solo per ingenui creduloni. Come da tradizione, bellissime le foto a corredo della tesi della rivista, il cui obiettivo – già esplorato su queste pagine – è riassunto nella prima pagina del pezzo centrale: «Maschio o femmina? I ruoli tradizionali sono ormai considerati un limite, ma trovare una nuova identità di genere non è così semplice».
A essere in discussione, infatti, non è tanto il genere di appartenenza dei singoli protagonisti quanto l’idea stessa del 'modello binario': non esistono solamente maschile o femminile ma tante possibilità intermedie, indefinite. E poi, chi l’ha detto che si deve decidere per una soluzione conclusiva, qualunque essa sia? Il mondo è cambiato, non chiede più certezze. Ma «la biologia ha l’abitudine di manifestarsi, prima o poi», e allora se l’adolescenza fa il suo corso e il corpo cambia è sempre possibile – rassicura Robin Marantz Henig, che ha firmato l’articolo – bloccare la pubertà con i farmaci, per prendersi tutto il tempo per decidere cosa fare. E pazienza se «gli effetti a lungo termine sono ancora sconosciuti». Non mancano le argomentazioni classiche, come le isole dal nome esotico in cui tutto questo è già realtà, paradisi incontaminati in cui femminile e maschile non sono mai stati ben distinti, quasi a suggerire una natura primordiale di cui l’Occidente civilizzato ha perso la memoria. E c’è spazio anche per la domanda retorica dell’esperto, che scaccia ogni dubbio al genitore incerto sul da farsi: «Volete una bambina felice o un bambino morto?», riferito al figlio che si sente femmina. Come pure si confondono le acque mischiando percezioni personali con anomalie genetiche o disfunzioni ormonali, per cui il sesso attribuito alla nascita non corrisponde a quello del corpo sessuato durante lo sviluppo. «Intersex» è il nome per questa condizione. Il nostro Comitato nazionale per la bioetica ha affrontato l’argomento nel 2010, nel parere «I disturbi della differenziazione sessuale nei minori: aspetti bioetici», dove sono chiare le differenze sostanziali con le problematiche transgender.
Ma la vera novità del servizio apparso sulla rivista – e che sarà al centro di un documentario televisivo in onda questa sera sul canale che ne porta il nome – non sono tanto questi contenuti quanto piuttosto i protagonisti: tutti e solo minori. L’indeterminatezza dell’identità sessuale nel pezzo del 'National Geographic' riguarda bambini o adolescenti, mai adulti. Perché? A pensarci bene anche la 'guerra dei gabinetti' che tanto ha impegnato l’amministrazione Obama – quei provvedimenti che in diversi Stati americani hanno proibito o concesso l’uso dei bagni a seconda del genere percepito, e non di quello anagrafico – ha coinvolto soprattutto scuole secondarie, e quindi adolescenti. In un articolo del «New York Times» pubblicato nel maggio dell’anno scorso, nel quale si discuteva dell’incerta numerosità dei giovani transgender, si giustificava tanto interesse con la loro vulnerabilità: bullismo e alti tassi di suicidio, più che nella popolazione generale. Ma sono molte, purtroppo, le condizioni di fragilità con questi esiti, in gruppi ben più numerosi e con dati più certi e consolidati. Un motivo più stringente lo si può allora ipotizzare pensando all’obiettivo dichiarato degli attivisti transgender: il riconoscimento legale del genere percepito, e quindi la riassegnazione del sesso riconosciuto alla nascita, senza la necessità di un intervento chirurgico, visto spesso come una 'sterilizzazione forzata'.
In altre parole: per gli attivisti transgender il corpo sessuato di per sé non è sufficiente a decidere l’identità sessuale di una persona ma è determinante la percezione di sé. L’apparato riproduttivo, l’aspetto fisico o i comportamenti, l’abbigliamento, non devono necessariamente essere riconducibili solo a uno dei due generi «rigidamente stabiliti», quello maschile o femminile: si possono avere genitali maschili, voce roca, e al tempo stesso capelli lunghi, lisci, portare minigonna e tacchi alti mostrando gambe perfettamente depilate, ed essere perfettamente a proprio agio con se stessi facendosi chiamare 'Eva' anche all’anagrafe. Se poi convivi con Elisabetta non è neppure importante stabilire se la relazione sia omo o eterosessuale. L’intervento chirurgico demolitivo e/o ricostruttivo dell’apparato sessuale ha un carattere di irreversibilità e definitività che fa a pugni con questa impostazione 'fluida': se ricostruisci gli organi genitali puoi farlo solo in chiave maschile o femminile, e non è pensabile tornare indietro successivamente. Ma per un adulto 'in transizione' la modifica anche chirurgica è il passo finale che ci si aspetta, e spesso, come ha stabilito anche la nostra Corte Costituzionale, è richiesta l’irreversibilità della transizione sessuale per poter poi procedere alle modifiche anagrafiche: continua quindi a valere come riferimento il modello binario maschio-femmina, non quello fluido.
Per un minore, però, è diverso. Non è necessario essere specialisti per intuire che un intervento chirurgico demolitivo e/o ricostruttivo dell’apparato riproduttivo di un bambino piccolo, o di un adolescente ancora in crescita, può avere conseguenze devastanti, vere e proprie mutilazioni permanenti che difficilmente possono trovare giustificazioni mediche, se non in gravi patologie ben definite. Già diverse autorità nel campo dei diritti umani, dall’Onu al Consiglio d’Europa, si sono pronunciate contro i trattamenti cosiddetti 'gender-normalizing', quando non necessari per la salute fisica del minore, e senza il suo consenso. E quindi in un ragazzino che si senta invece ragazzina, o viceversa, quell’intervento medico definitivo prevedibile in un adulto, obbligatorio per una modifica anche anagrafica, diventa impraticabile: l’unica forma proponibile per assecondare le percezioni del bambino è quella propriamente transgender, cioè la coesistenza di apparato riproduttivo – anche se non pienamente sviluppato – appartenente a un genere, solitamente quello attribuito alla nascita, e comportamento e abbigliamento riconducibili all’altro. Per l’anagrafe non si può aspettare la maggiore età: intanto si cambia il nome, per il 'massimo interesse del minore', e poi si vedrà.
La categoria di 'bambini Lgbt' compare già in documenti di istituzioni internazionali, come la «Strategia del Consiglio d’Europa per i diritti dei bambini (2016-2021)», anche se li si nomina solo in riferimento ai loro diritti. Insomma, far digerire all’opinione pubblica l’esistenza di bambini transgender significa non solo consolidare l’idea che il corpo sessuato è inincidente rispetto all’identità sessuale individuale ma che gli interventi che tendono a riportare queste situazioni al modello naturale maschio-femmina vanno evitati. È lo «spettro delle espressioni e delle identità di genere» il nuovo paradigma della specie umana, in luogo della millenaria differenza sessuale uomo-donna. Se si inizia con i più piccoli, tanto più continuerà a valere per gli adulti. Da non sottovalutare infine l’impatto delle immagini: un fascicolo interamente illustrato con foto di giovani e bambini suggerisce quel che sarà nelle generazioni future, il Mondo Nuovo che inizia a svelarsi. Il che, per usare un eufemismo, non ci tranquillizza affatto.