Sono tanti i modelli, le forme, le interpretazioni, le definizioni di intelligenza. Ci sono l’intelligenza logico-matematica, linguistica, musicale, artistica, sociale, manuale, intrapersonale. Rientrare sotto uno di questi modelli favorisce l’individuo fin dai primi banchi di scuola per dopo, quando nel tempo l’intelligenza si va combinando con l’apprendimento sicuro, la capacità di ragionamento, la memoria e la facilità/abilità di linguaggio, fargli trovare aperta qualche buona porta. Se poi la persona intelligente si rende partecipe del grande dono ricevuto, il saperlo impiegare, investire, distribuire, migliora tutt’intorno uomini e cose. In teoria, quantomeno, è così. Nella pratica, avendo davanti a sé più di un percorso possibile, l’intelligenza può sbagliare strada così come può eccedere nella cura di se stessa a scapito di altre basilari qualità umane: la bontà, la generosità, l’altruismo, il rispetto del prossimo, l’educazione. Essere intelligenti è molto, ma non è tutto. L’intelligenza può portare presunzione. Può rendere superbi e allontanare dal divino. Non per niente, quando si tratta di pregare, l’intelligenza non serve. Per parlare con Dio, non è richiesto il mio QI (quoziente d’intelligenza) e anzi, più testa io penso di possedere e più, pregando, mi devo sentire chiamato ad abbassarla.Se guardiamo al grande campo delle apparizioni mariane, notiamo che, per l’incontro ravvicinato con il trascendente, essere intelligenti non è mai contato nulla. Bernadette Soubirous non era certo ritenuta un’aquila fino al momento, almeno, in cui le apparve la Vergine. E intelligenti non risulta che fossero considerati l’indio Juan Diego di Guadalupe, i tre bambini di Fatima nonché i vari pastori e pastorelli cui la Vergine sarebbe apparsa nel corso dei secoli. In ogni caso, lo siano pure stati, non è lì che il Cielo guardava. Quante volte, del resto, hanno ricevuto visite divine gli intelligenti del mondo?Da ciò che leggiamo nel comportamento e nel pensiero di molti intellettuali, sembra che avere studiato, essere colti, conoscere cose, sapere di scienza, storia e filosofia, sia decisivo per mettersi al servizio della propria intelligenza e appagarsene. Bisogno di Dio, poco o nessuno. Più se ne sta nel proprio "Io" compiaciuta di sé, più l’intelligenza si chiude al mistero, al trascendente, alla fede. Mentre è abbassandosi, indossando abiti umili, ridimensionando le proprie acquisizioni di scienza e di sapere, che l’intelligenza si apre a ciò che la sovrasta. Ecco san Paolo: «Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (I Cor, 1, 27-30).Sosteneva un mio maestro e amico, don Sergio De Giacinto, che, su una scala da uno a dieci, l’intelligenza può salire a otto-nove mentre il cuore rimane a uno-due. Dove questo è avvenuto, i fili del rapporto tra l’uomo e Dio sono stati tagliati. Escluso il cuore, la preghiera non è più nata perché, dettata dal solo intelletto, la preghiera non si forma. È il cuore che prega, non la testa.Se poi allarghiamo lo sguardo sull’ Europa, quest’Europa unificata ma non unita di che cosa è figlia se non di un’intelligenza che ha dimenticato il cuore? Quanto se n’è parlato e scritto, quanto se ne parla, scrive e se ne dirà ancora, e come però resta chiaro che le decisioni prese o non prese all’ombra delle sole ragioni economico-finanziarie abbiano generato dubbi, incertezze, fragilità, sconforto e grandi timori per il futuro. Le nazioni d’Europa ci appaiono oggi chiuse in quelle gabbie valutarie che i loro costruttori vedevano dorate e che tali non si sono dimostrate, quantomeno non si sono dimostrate per tutti i popoli europei. A ben altri traguardi portano le strade del cuore, e la Chiesa – questa nostra Chiesa dal sapore francescano – le sta percorrendo mettendo accanto alla testa o meglio, prima della testa, il cuore. Noi anche di ciò, cioè di non fare mai a meno della ragione ma di non volersi affidare alla sola intelligenza, le dobbiamo, credo, essere grati.