Una delle cose peggiori che un giovane può fare pensando al proprio futuro e a quello della comunità in cui vive è smettere di studiare. Tuttavia non è su questo piano che andrebbe letta la protesta che sta unendo giovani e giovanissimi di vari Paesi europei in nome della lotta ai cambiamenti climatici. In diverse città francesi e britanniche, in Germania, ma anche in Italia, centinaia di studenti hanno "scioperato" nuovamente ieri e manifestato davanti a scuole e sedi istituzionali per chiedere azioni più incisive al fine di evitare la catastrofe ecologica.
La mobilitazione prende il nome di "Fridays For Future", i Venerdì per il futuro, e ha tutte le caratteristiche di un movimento informale, cresciuto con il passaparola in rete. Proteste sparse si erano tenute già lo scorso anno, poi la delusione per gli esiti della Conferenza sul clima in Polonia del dicembre 2018 ha impresso una spinta decisiva. La richiesta è per una riduzione più netta dei gas serra contro il riscaldamento climatico. In assenza di risposte è già stata fissata una nuova data: il 15 marzo, venerdì ovviamente. La provocazione dello sciopero scolastico fa quasi star male.
Non abbiamo forse bisogno di più sapere, di intelligenza, di conoscenza, di scuola e innovazione per affrontare le sfide globali? La frase che spiega tutto dei Venerdì per il futuro è stata pronunciata dalla sedicenne svedese Greta Thunberg, la ragazza che ha ispirato il movimento per aver incrociato le braccia davanti al Parlamento di Stoccolma a partire dallo scorso agosto: «Perché dovrei andare a scuola? Se i politici non ascoltano gli scienziati perché mai dovrei studiare?».
Nel contesto in cui sono espresse, queste parole non andrebbero prese alla leggera. Intanto perché marcano una differenza generazionale impressionante anche rispetto a quello che oggi si considera "nuovo", ma che di fronte a un’affermazione così appare di colpo vecchio e stantìo: per ragazzi neanche maggiorenni la scienza e la conoscenza hanno un valore, lo studio è importante, non sembrano esserci margini per negazionismi, scie chimiche, leggende metropolitane o saltimbanchi. La politica ne prenda atto e agisca. E poi nella rinuncia simbolica (e temporanea) allo studio sembra andare in scena più la rappresentazione del sacrificio di qualcosa che si considera prezioso e necessario, non un atto definitivo di auto-annientamento. Come dire: siamo pronti a fare la nostra parte.
Diverse ricerche dimostrano come le generazioni più giovani abbiano una consapevolezza diffusa e trasversale della questione ecologica, non sembrano cioè divise nei blocchi ideologici e un po’ naif che ancora sopravvivono, dove ci si attribuisce il diritto di inquinare o il privilegio di vivere a impatto zero in base al colore politico o all’area culturale di appartenenza. Altri studi evidenziano poi un ritorno di passione politica e di desiderio di impegno proprio tra gli 'under 20'. Un’aria nuova, insomma, che pone la difesa dell’ambiente e della casa comune come dato irrinunciabile, tutt’altro che piegato sul presente.
«Forse un giorno i miei figli mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando c’era ancora il tempo di agire» ha detto Greta Thunberg ai rappresentanti delle Nazioni alla Cop24 di Katowice, esprimendo un desiderio di futuro e di generatività lontano dalla disillusione che si respira altrove. Secondo le più recenti stime delle Nazioni Unite nell’ultimo decennio in Africa gli eventi atmosferici estremi hanno colpito in media 16 milioni di persone l’anno e l’aumento delle temperature ha danneggiato in modo devastante i raccolti nelle aree più povere, affamando milioni di persone e inducendole a migrazioni disperate.
Nell’enciclica Laudato si’, in cui la tensione per la promozione di un’ecologia integrale si accompagna all’indicazione di azioni concrete con le quali confrontarsi per il bene del Creato e dell’umanità, papa Francesco ha dato prova di saper cogliere più di tanti il senso di una questione che è anche generazionale: «I giovani – ha scritto – esigono da noi un cambiamento.
Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi ». Soprattutto, ha sottolineato Francesco, questi giovani «hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa».
Una sfida che chiama anche al cambio degli stili di vita e di fronte alla quale i giovani non possono essere lasciati soli. Perché a un certo punto i libri e le ricerche vanno riaperti e dovremmo tutti ricominciare a leggerli.