Il direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Rizzolo, con l'ultimo numero del settimanale
Costo 20 centesimi (8 lire l’abbonamento annuo), in copertina un Gesù Bambino riccioluto e benedicente, seduto sulla paglia della mangiatoia. Dodici paginette in bianco e nero. Nasceva così il giorno di Natale del 1931 Famiglia Cristiana, sottotitolo 'Per le donne e le figlie', francesismo che significava ragazze. «Insomma, partiva come settimanale femminile», sorride don Antonio Rizzolo, dal 2016 direttore della testata dei Paolini, che al numero speciale per i 90 anni allega in dono la riproduzione di quel primo storico numero.
Che l’acqua passata sotto i ponti sia tanta lo si coglie al volo dal confronto tra le due copertine, quella di Natale 1931 e quella in uscita, di nuovo con un Gesù Bambino benedicente ma a colori e dai tratti somatici 'televisivi', lunga frangetta bionda aperta sulla fronte. Sono passati anni luce dalle rubriche che insegnavano 'alle buone figliuole' a ricamarsi il corredo, istruivano la famiglia sull’'igiene del corpo' ('Poiché il sudore attraversa la biancheria, è necessario che questa sia cambiata almeno ogni settimana'), o davano consigli su come fare testamento ('non è bene aspettare in punto di morte, è quello un momento niente adatto')... Eppure il successo di quella piccola rivista, stampata ad Alba e inizialmente diffusa solo in Piemonte e Lombardia, fu presto deflagrante, e grazie all’impronta del suo ideatore, il beato Giacomo Alberione, fondatore della Società San Paolo, crebbe inarrestabile fino a raggiungere negli anni ’60 il milione di copie (eccezionalmente 2 milioni per il numero speciale dei 40 anni, nel 1971). «Quando il beato Alberione volle fortemente fondare quella che allora si chiamava La Famiglia Cristiana, con l’articolo davanti, il mondo era profondamente in crisi, due anni prima c’era stato il crollo di Wall Street, in Italia al governo sedeva Mussolini, Hitler era in ascesa in Germania, in Urss c’era la dittatura di Stalin e presto il mondo sarebbe stato in guerra. È interessante che Alberione iniziasse questa avventura nonostante un contesto tanto oscuro, anzi, proprio a causa di un mondo in difficoltà volle indicare una strada che si rivelerà rivoluzionaria – racconta don Rizzolo, la scrivania coperta da decine di copertine di Famiglia Cristiana –. Il senso che dava era quello della speranza che non muore, e l’invito agli uomini era di cominciare dalle piccole cose, 'dalla paglia del presepe'. Questo ci diceva l’antico Bambino benedicente e questo ci dice ancora oggi, in un mondo di nuovo in difficoltà».
Già nel 1922, in tempi non sospetti, Alberione lamentava il fatto che le chiese fossero più vuote del giusto e aveva capito che le persone bisognava andarle a cercare con i mezzi che la modernità cominciava ad offrire: 'Molte pecorelle stanno fuori dell’ovile e non vengono al pastore, forse perché non lo conoscono – scriveva –. Bisogna che il pastore vada a loro: si va con la stampa!». Il primo direttore fu don Matteo Borgogno, ma poco dopo La Famiglia Cristiana bruciò i tempi con la prima direttrice donna, quella suor Evelina Capra (classe 1906) che in una futura intervista racconterà umilmente la vera genesi della sua nomina: «Le altre consorelle erano spesso in giro, io ero sarta e quindi sempre in sede, così scrissero il mio nome». Erano anni di grande fervore, con le suore Paoline che, da vere pioniere, distribuivano le copie porta a porta, anche a dorso di mulo. E le porte si spalancavano per lasciare entrare quelle pagine, che non davano ancora informazione ma formazione, erano cioè il «prolungamento della parrocchia» con cui Alberione intendeva raggiungere le famiglie. Erano «la parrocchia di carta». Nel 1944, pur in piena guerra mondiale, le copie erano ormai 100mila, e l’attualità iniziava a fare capolino tra regole di ricamo e galateo, anche se con brevi notiziole (nel ’46 la vittoria della Repubblica sulla monarchia occupava dieci righe). La ex rivista femminile via via abbracciava le tematiche sociali, aprendosi alla cronaca prima italiana e poi di tutto il mondo.
Sfogliare le copertine assomiglia allora a un variopinto viaggio nel tempo. 'Vincere', declama sicura la prima pagina nel 1942, che al posto del Bambino ora disegna i volti maschi di soldati fascisti armati di pugnale. Nel 1958 un’immagine a tutto campo e senza titolo annuncia l’elezione di Papa Giovanni XXIII (e l’articolo 'la' davanti a Famiglia Cristiana scompare definitivamente). Due cover del 1969 descrivono bene l’evoluzione del periodico: Carla Fracci mamma in attesa diventa la notizia principale, seguita a luglio dall’immancabile 'Qui Luna!', con l’intera copertina trasformata in suolo lunare su cui si staglia l’immagine degli astronauti. Nel 1970 protagonista è Gigi Riva, bomber del Cagliari, nel 1978 uno Zaccagnini affranto si copre gli occhi nei giorni del sequestro Moro: ormai i temi di attualità sono il marchio del settimanale, che nel 1982 non disdegna il Mondiale di calcio vinto dall’Italia. E avanti con il giornale che nel 1997 già preconizza lo strapotere dei cellulari ('Il Paese dei trilli') e affronta la piaga della pedofilia con un servizio che suscitò clamore. Nel 2004 dopo le sanguinose stragi di Beslan e Madrid affida alle donne musulmane la condanna del terrorismo. Nel 2012, ben sette anni prima della legge contro la violenza di genere, denuncia 'La strage delle donne'. «Per arrivare quest’anno alle copertine dedicate al Covid – continua il direttore –, tenendo sempre accesa però la fiamma della speranza con storie positive, come quella di sei fratelli medici uniti contro la pandemia, e infine al numero di Natale, per il quale il Bambino ci è stato donato dal grande artista Giuseppe Afrune», ritrattista di santi e di Papi.
Oggi i tempi sono mutati, la gente legge meno e Internet ha cambiato l’approccio al testo scritto. «Sono lontani gli anni del milione di copie», commenta don Rizzolo, «ma le 200mila vendute oggi ci raccontano dello zoccolo duro di lettori che nelle nostre pagine trovano un confronto franco e aperto»: una caratteristica che tutti i direttori hanno portato avanti nella rubrica 'Colloqui col Padre», cuore pulsante di Famiglia Cristiana fin dai tempi di don Giuseppe Zilli, il giornalista che diede in tutti i sensi la grande svolta traghettando il periodico fuori dall’artigianalità e chiamando a lavorare le maggiori firme, anche di laici, perché «un perfetto apostolo deve anche essere un perfetto professionista ». Da 65 anni nel 'Colloquio con il Padre' i direttori – dopo don Zilli arrivò don Leonardo Zega, poi don Antonio Sciortino, e oggi don Rizzolo – hanno risposto alle lettere ognuno con il proprio stile, in un mondo in continua evoluzione. Il Sessantotto pose sul tavolo questioni come il divorzio, l’aborto, la contraccezione, il terrorismo: altro che galateo e buona creanza... Le domande erano incalzanti e la Chiesa doveva dare risposte. «Don Zilli passava le notti a riscrivere le risposte, le ripensava profondamente», ricorda don Rizzolo. Gli bastava una riga. Memorabile la risposta nel 1976 a una ragazza madre abbandonata dal fidanzato e 'decisa' ad abortire (ma perché gli aveva scritto, allora?): «Lo faccia, questo bambino, e me lo porti». Un anno dopo in redazione a Milano si presentarono insieme, la mamma e il bambino nato grazie a una frase lapidaria.
La Famiglia Cristiana che conosciamo è quella ormai dei reportage dai fronti di tutto il mondo, delle battaglie sociali, ma anche degli allegati che hanno fatto storia (La Grande Bibbia commentata da Gianfranco Ravasi o la Divina Commedia illustrata dai fratelli Nino e Silvio Gregori). Oggi le dodici gloriose paginette sono diventate un giornale online che viaggia nel web e sui social, «ma che non dimentica lo spirito degli esordi – conclude don Rizzolo –, cioè lo sforzo di mettere un po’ di Cielo nelle cose di ogni giorno: i nuovi mezzi non fanno paura, semplicemente consentono che la salvezza di Gesù arrivi a tutti».