Horacio Pagani, 68 anni - Francesco Ferrarini Studio
Lo scorrere del tempo come sfida, la perfezione come traguardo, e Leonardo da Vinci come modello ispiratore. L’uomo che disegna e vende vetture che costano da 2 a 20 milioni di euro, ha il vento negli occhi e i modi gentili di chi nella vita ha fatto quello che voleva fare. Da bambino aveva solo un traguardo: costruire l’automobile più bella del mondo. Oggi Horacio Pagani, argentino di nascita e italiano per scelta, inventa gioielli con le ruote sotto. A San Cesario sul Panaro, in provincia di Modena, dove sapeva da sempre che avrebbe voluto vivere e lavorare. Perché, dice il video che presenta il suo sito produttivo, “le aziende che non investono nella propria terra, prima o poi, sono destinate alla decadenza”.
Horacio Pagani è un 68enne sottile, pieno di buone maniere e di carisma. Ama raccontare che da ragazzo chiese un prestito in banca per comprare un’autoclave a un’azienda che non era nemmeno sua. E che pochi anni dopo finse di possedere un’officina per convincere i dirigenti della Mercedes a finanziarlo. Ora la sua azienda è un’eccellenza mondiale del made in Italy, con 25 anni di storia, 162 milioni di euro di fatturato, 254 dipendenti, 30 dei quali al reparto ricerca e sviluppo. E appena 50 auto prodotte all’anno, più della metà vendute negli Stati Uniti. L’ultima si chiama Utopia.
Il segreto del successo allora è restare piccoli?
La prima regola è essere rispettosi. Essere piccoli può essere un problema ma anche un’opportunità, perché consente di prendere decisioni molto rapidamente. La mia azienda ha investito da sempre in tecnologia e in formazione: l’età media dei nostri dipendenti è di 32 anni, e di questo sono molto orgoglioso. A loro dico sempre: siate creativi e originali, per migliorarsi non serve essere competitivi verso gli altri ma verso se stessi. Quanto ai numeri, da quando abbiamo inaugurato il nuovo stabilimento, di auto potremmo farne anche 300 l’anno. Ma il nostro piano di produzione si basa da sempre su questo: realizzare meno della metà delle richieste ricevute. Così diamo alle vetture più valore ed esclusività. Questo è il senso.
Supercar da 800 cavalli destinate a miliardari arabi: come si fa a trovare un senso?
La correggo: generare sogni vuol dire creare energia. Già questo risponde alla sua domanda. Leonardo da Vinci ha dimostrato che arte e scienza possono camminare insieme: noi proviamo a fare questo: unire la tecnica all’intellettualità manuale.
Da semplice operaio della Lamborghini, lei è diventato un mito dell’automobile. Come riescono imprese del genere?
Con la forza della volontà. Sono nato in un paese vicino a Rosario, in Argentina, ma le mie origini sono in Italia: mio nonno era emigrato da Appiano Gentile, vicino a Como. Papà faceva il fornaio e suonava la tromba, mamma dipingeva: a lei devo il gusto dell’arte. Da ragazzo guardavo l’unica rivista di auto che usciva in Argentina: sfogliavo quelle pagine, vedevo le Ferrari, le Lamborghini... Per me era un mondo incredibile e meraviglioso: così disegnavo automobili con la matita. E a mia mamma dicevo: un giorno andrò a Modena e costruirò la macchina più bella del mondo.
C’è riuscito, facendo l’emigrante al contrario rispetto a suo nonno...
Sono partito per l’Italia nel 1982 con mia moglie Cristina, due valigie e una tenda. È stato un periodo durissimo: mi guadagnavo da vivere facendo il saldatore, abitavamo in un campeggio. Poi abbiamo trovato casa a Sant’Agata Bolognese: 40 metri quadrati, due figli piccoli e tanti sogni. A 19 anni progettai una macchina da corsa e incontrai Manuel Fangio, che aveva già smesso di correre da tempo: vide i miei disegni e scrisse lettere di presentazione a Enzo Ferrari, a Giulio Alfieri di Lamborghini, all’Alfa Romeo, alla Osella e alla De Tomaso. Mi rispose solo la Lamborghini, mi presero come operaio metalmeccanico di terzo livello, quello più basso.
Questo era il giovane Horacio Pagani, uno che per farsi notare un giorno trovò il coraggio di dire all’ingegnere che progettava i prototipi che occorreva acquistare un’autoclave per lavorare nuovi materiali?
Pensavo fosse indispensabile per sfruttare la fibra di carbonio, ma mi risposero che non ce l’aveva nemmeno la Ferrari. Allora presi la bicicletta, andai in banca alla filiale del Credito Romagnolo di Sant’Agata e chiesi un prestito. Tornai in azienda e dissi: ho comprato io l’autoclave, dove la mettiamo? Prima non mi credettero, poi risposero che ero matto, ma mi diedero fiducia. Grazie a quei materiali, la Lamborghini costruì la Countach Anniversary e la Diablo.
Quell’azzardo le consentì di essere nominato capo del reparto carrozzeria...
Studiavo, sperimentavo, non mi fermavo mai. Mi aveva insegnato mio padre a essere così: lui ha lavorato facendo il pane fino a 90 anni. Parlava poco ma era saggio: “non perdere tempo, mai”, mi diceva. E mi ha insegnato che il cliente non è quello che viene la prima volta, ma quello che ritorna. Per me lui era un mito.
Quale è la prima dote di chi costruisce automobili?
Ogni giorno, dopo tanti anni che faccio questo mestiere, mi chiedo: cosa so fare e cosa devo imparare? L’umiltà è importante anche in un lavoro meraviglioso come il mio, che ti permette di volare ma che ti obbliga anche a tenere i piedi per terra per realizzare qualcosa che funzioni e che sia reale. Lavorare in gruppo, eliminare l’egocentrismo, rispettare il pensiero degli altri: queste sono le uniche regole.
La sua grande scommessa fu mettersi in proprio. E inventarsi la Pagani Zonda, presentata al Salone di Ginevra nel 1999...
Il sogno era costruire una vettura tutta mia, e in onore di Fangio. I disegni erano pronti già otto anni prima, ma mi serviva un motore. Conobbi il presidente di Mercedes, lo convinsi a mandare qualcuno a vedere la mia officina. Accettò, ma dissi a mia moglie: quando vedranno che ci lavoriamo in quattro, non ci prenderanno sul serio. Allora radunai 15 amici e vicini di casa, misi loro addosso un grembiule con la scritta Pagani e li pregai di fingere di essere miei operai, anche se nemmeno sapevano cosa fosse un’automobile. Quando arrivarono i tecnici da Stoccarda, ebbero una buona impressione e io ottenni il mio motore. La Zonda fu un successo clamoroso: costava il triplo di una Ferrari o di una Lamborghini, ma colpiva al cuore. Un oggetto superfluo come un’automobile da più di 2 milioni di euro, tasse escluse. Una Pagani non si compra con la testa... .
Che messaggio vuole dare un uomo come lei la cui vita è stata una continua corsa a ostacoli?
Che non bisogna essere necessariamente dei fenomeni per arrivare al traguardo. Gli uomini e le donne che hanno cambiato il mondo erano persone semplici, che hanno fatto fatica: Albert Einstein si rimproverava di non conoscere abbastanza bene la matematica, e Leonardo Da Vinci sapeva disegnare qualunque cosa con entrambe le mani, ma davanti un foglio di carta confessava di essere terrorizzato per la responsabilità che aveva verso quello che stava inventando. Sono più di 50 anni che lo studio: Leonardo era un uomo umile e profondamente curioso. E la curiosità nella vita è la chiave di tutto: ti spinge a realizzare e non a subire, apre la mente e il cuore. Tutto, o quasi, si può fare, basta crederci.
La sua è una storia emblematica di un grande successo venuto dal nulla, ma era anche un’altra epoca: avere solo sogni e passioni basta ancora per riuscire professionalmente nella vita?
Io credo di sì, ho grande fiducia nelle nuove generazioni. Lo dico perché paradossalmente oggi ci sono più opportunità di prima, perché c’è un accesso alla conoscenza molto superiore rispetto a quello che ha avuto un uomo come me. Oltre a tecnologie che consentono di usare strumenti di calcolo. Prima ci si doveva arrangiare: io l’autoclave l’ho comprata da solo. Le migliaia di startup che sono nate recentemente lo dimostrano: oggi se hai un’idea buona e sei in grado di dimostrarla, qualcuno che ti finanzia lo trovi. Certo, servono coraggio, basi forti e disciplina: i giovani oggi sono bellissimi bicchieri di cristallo sul bordo di un tavolo. È molto facile cadere e andare in mille pezzi, ma il carattere e la convinzione bastano a restare in equilibrio. E iniziare a splendere.