Caro Direttore, dopo aver visto in tivù varie persone con contrastanti pareri, desidero anch’io dare il mio modesto e personale parere sul caso Eluana. Mi presento: sono un giovane di 33 anni, abito in provincia di Brescia e sono tetraplegico da 18 anni. Una trombosi poi, mi ha tolto l’uso della parola; così sono costretto a letto senza che mi sia concesso un benché minimo movimento che non sia il ruotare il capo e il battito delle ciglia (con cui scelgo le lettere dell’alfabeto scritte su una tavola, che chi vuol interloquire con me, mi porge). Sono tracheotomizzato e aggredito da una rete di tubi e connessioni varie. Queste rendono necessarie molte aspirazioni, di giorno e di notte. Inoltre da qualche tempo, a intervalli di qualche ora, devo ricorrere all’ossigeno per agevolare l’esercizio respiratorio. Come si può considerare la mia condizione sanitaria non è rosea. Posso ritenermi fortunato per il dono della intelligenza, ma per il resto non sono messo bene, al contrario di me (come affermato dalle suore) Eluana godeva di uno stato di salute buono: non aveva bisogno d’essere aspirata, non usava antibiotici né altri farmaci, e soprattutto respirava autonomamente, tanto da poter essere accompagnata in giardino dalle suore. Aveva una buona postura da seduta: questo significa che i muscoli del dorso lavoravano ottimamente; io viceversa ho bisogno d’essere legato, perché i miei muscoli non lavorano più e cadrei. Eluana quindi non era una «patata», come volevano fare credere, ma una persona di costituzione sana che ha il senso dell’intelletto addormentato. Il senso dell’intelletto risiede nella persona quando esiste un’attività celebrale, il segno di essa in Eluana era il sorriso e le lacrime che le rigavano il volto. Solo chi ha creato l’uomo, ossia Dio, può conoscere quanto lei percepisse: il 10%, il 50% o ancor più. Dico tutto ciò sulla base della mia esperienza di stato comatoso: per chiarire vi racconto un po’ del mio passato. Fino a 18 anni fa ero un ragazzo atletico: altro un metro e novanta, alpinista, scatenato come e forse più di tanti miei coetanei. Un tuffo mal riuscito, mentre facevo il bagno nel lago mi ha leso gravemente la colonna vertebrale. Ne seguirono 144 giorni di coma profondo, dal quale mi sono imprevedibilmente risvegliato, ma nelle condizioni sopra accennate. Il mio coma è chiamato «sindrome del chiuso dentro», cioè potevo comunicare solo con me stesso, ma dall’esterno si percepiva solo che io ero in coma. Io non conosco la cartella clinica di Eluana, ma se anche lei avesse vissuto la «sindrome del chiuso dentro»? Io ero al 100% sveglio, ne è testimone il fatto che ero perfettamente al corrente della mia situazione clinica; perché i medici ne parlavano tra loro accanto al letto, pensando che io non comprendessi alcunché. Pensiamo un solo attimo, se Eluana capiva che la volevano fare morire di fame e di sete, cosa avrà provato? Ora confido nel governo, che si è dichiarato più volte a favore della cultura della vita, perché fermi definitivamente questa deriva di morte, questo tentativo di introdurre in Italia l’eutanasia. Voglia Dio che fallisca questa manovra perversa! Ricordiamo che il Signore ci dice molto chiaramente: «Con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato a voi» ( Marco 4: 24). Vi ringrazio e vi saluto cordialmente,
Forza, Massimiliano, siamo tutti con te. Davvero ( db)