Dov’era andata Giulia, al settimo mese di gravidanza, con 500 euro e un Bancomat? Quante donne, sentendo della scomparsa di Giulia Tramontano, hanno pensato che una al settimo mese torna dai suoi, o da un’amica: ma non va lontano, sola. La vicenda della ragazza scomparsa a Senago, hinterland di Milano, aveva dunque già dall’inizio un cattivo sapore. La cercavano ovunque, ma l’hanno trovata a due passi da casa. Dietro a un garage. Accoltellata dal padre del bambino che aspettava, e che è morto con lei. È da ogni lato terribile la storia di Giulia, tradita per mesi dal fidanzato con un’altra, che, pure incinta, viene convinta dall’uomo ad abortire. Lui, trent’anni, è il barman di un locale esclusivo all’ultimo piano dell’Armani Hotel, via Manzoni. Posto per stranieri e vip, o aspiranti tali, che bevono l’aperitivo e non si accorgono di pagare 16 euro un’acqua minerale; oppure se ne accorgono ma sono contenti, è uno status symbol, quel conto.
Al banco c’è Alessandro, napoletano, sempre sorridente. Un buon lavoro, belle mance, dà del tu a gente importante, se ne vanta. Il mondo attorno a questo ragazzo luccica, nella Milano più ricca. Piace alle donne, Alessandro: ma quando sabato pomeriggio vede entrare nel locale, assieme, le due che contemporaneamente ingannava, venute a cercarlo, scappa. Nel via vai di un sabato nel Quadrilatero quelle ragazze potevano sembrare fare shopping – a pochi passi la gente, nei negozi, comprava i costumi da bagno. Giulia però, pure ormai sapendo tutto, torna a casa. Ancora non immagina, ancora si fida. Lui la uccide a coltellate, poi cerca di bruciarla. Nella vasca da bagno – ma non è facile come sembra nei gialli in tv. Poi per quattro giorni finge di cercarla. Giulia, e il figlio che aspettavano per agosto. Al settimo mese. Vitale, quindi. Forse sua madre ha cercato, istintivamente, di proteggere il ventre? La fine di Giulia e del suo bambino, nella cornice della Milano che splende, raggela. L’altra donna, forse aveva capito prima. Si era lasciata convincere ad abortire, a Natale – ma questa è una storia ordinaria, “normale”. Due bambini non nati, e un terzo di sei anni avuto da un’altra. Quindi questo Alessandro sa, cos’è un figlio. Glielo avrà gridato la compagna, incredula, vedendolo con un coltello in mano?
“Il bambino…”. Lui non si è fermato. Strazia questa fine, mentre attorno c’era “tutto”: lavoro, casa, soldi. Perché? Difficile invocare la follia, per chi, tutto il giorno in un bar, è il beniamino dei clienti. Cosa allora? Forse il narcisismo assoluto di un uomo che crede di non avere limiti, e non vede che sé stesso. Ce ne devono essere in giro di uomini così, a giudicare dal numero di donne uccise dal compagno, spesso con i figli. Spesso nel momento in cui se ne vogliono andare, e quell’uomo si sente dire, magari per la prima volta, di no. (Viene da chiedersi, davanti a quest’onda di violenza, da quali madri e quali padri vengano, questi uomini: che cosa non hanno avuto, o non sanno). La storia del barista del Bamboo Armani ricorda confusamente qualcosa: Terry Broome, la modella che uccise il figlio di un noto avvocato, in corso Magenta.
1983, gli anni di piombo agli sgoccioli, si tornava a vivere. La Milano da bere, la coca che scorreva come birra in certi piani alti. Terry Broome, irrequieta, un padre violento, uno stupro a sedici anni, era sbarcata a Milano come mille altre, per fare la modella. Non c’ era riuscita. Ma finalmente un uomo, il figlio di un gioielliere, le aveva dato l’anello, la voleva sposare. Finché un altro, uno che la ossessionava, una sera al Nepentha, il night dei vip di allora, le dà davanti a tutti della puttana. Il fidanzato la sera stessa si riprende l’anello. Lei si fa di coca, va da chi l’ha insultata, e spara. Fece un gran rumore la storia, la Milano-bene apprese come vivevano alcuni dei suoi figli: Sotto il vestito niente, il titolo del film che ne venne. Un giro di ricchi, in cui ci si scambiava le donne come cose. La tragedia di oggi pure nasce accanto a una Milano piena di soldi e un po’ fasulla.
Ma questo Alessandro, nato da napoletani emigrati a Sesto San Giovanni, lo si potrebbe dire un ragazzo del popolo. E Giulia, che telefonava ogni mattina alla mamma al paese, pure veniva da una famiglia semplice. Aspettava un bambino, sognava una famiglia. Che tanto male sia scoppiato fra ragazzi come molti altri colpisce più che lo scandalo di quarant’anni fa – quasi che una sostanza tossica fosse scesa a una falda più profonda. Quelli, ci si diceva, erano figli di potenti, viziati. Questo ragazzo, no. Sbruffone, tante donne, un lavoratore però. L’ha uccisa, bruciata, nascosta, falsamente cercata. Il bambino, sarebbe nato ad agosto. Come ha potuto lui dimenticarsene? Un’esplosione di male nel cuore di Milano, a un passo dal Duomo. Un aperitivo? “Ciao Ale, il solito”, dicevano gli habitué, gustandosi dall’alto lo skyline della città. E come sorrideva sempre, quel bravo ragazzo dietro al banco.