giovedì 24 luglio 2014
​di Marco Tarquinio
In questi mesi abbiamo imparato a conoscere Meriam, che ha difeso la sua fede anche di fronte al "convertiti o muori", come Asia Bibi. Di questo l'ha ringraziata Papa Francesco. E anche noi la ringraziamo, felici
 Avvenire da subito con Meriam
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Il volto di Meriam Yahya Ibrahim 85 giorni fa lo conoscevamo appena. Quel viso in principio ci venne consegnato solo nella foto felice di una coppia in abito nuziale, immagine struggente e stridente con la realtà della persecuzione e dell’ingiustizia che una giovane donna e madre stava subendo. Ma poi abbiamo imparato a conoscere bene il volto, la storia e in modo inusitato persino l’intimità di Meriam, figlia di una cristiana e cristiana dalla nascita, sposa di Daniel, uomo cristiano, madre di un figlio e in attesa di una bambina, ma generata da un padre musulmano e perciò condannata a morte per “apostasia” da un tribunale islamico sudanese e destinata, prima dell’esecuzione, a subire 100 frustate per “adulterio”. E soprattutto abbiamo imparato a conoscere la sua fede semplice e forte. Una fede che l’ha sorretta durante il processo e la detenzione in piena gravidanza, durante un parto in catene, durante la prima incerta liberazione e il nuovo arresto. Una fede alla quale non ha rinunciato neanche sotto l’antico e feroce aut aut: “Convertiti o muori”. Una fede che la fa sorella di sangue di tanti, troppi, perseguitati e, in particolare, di donne che nessuno penserebbe come “eroine”, ma che sono capaci proprio come lei – e come la cattolica pakistana Asia Bibi, da più di cinque anni in prigione per “blasfemia” – di non cedere a minacce e a lusinghe, restando fedeli a se stesse e a Gesù Cristo. Di questo l’ha ringraziata ieri Papa Francesco, incontrandola e benedicendola assieme alla sua famiglia. Di questa limpida testimonianza anche noi torniamo a ringraziare Meriam. Felici che la sua definitiva liberazione resa possibile da una saggia decisione assunta dalle autorità politiche sudanesi sia stata il frutto della provvidenziale e altrettanto saggia mediazione del governo italiano. Felici che il premier Matteo Renzi, che si era impegnato in prima persona aderendo da subito alla campagna “Meriam deve vivere” che questo giornale aveva lanciato in piena sintonia con gli amici della Ong “Italians for Darfur”, abbia onorato nel modo più pieno un impegno ribadito anche all’atto dell’assunzione della presidenza di turno della Ue. Felici che la Farnesina, e in prima linea il viceministro agli Esteri Lapo Pistelli, abbia condotto con grande efficacia una trattativa né semplice né scontata, che abbiamo seguito con tutta la speranza, la discrezione e il rispetto necessari. Felici, insomma, che l’azione dei nostri politici, in questo caso, abbia rappresentato e positivamente coronato intenzioni e sentimenti di tantissimi italiani e di uomini e donne di ogni parte del mondo. Gente vera e semplice come Meriam, capace di esprimere voci di preghiera e voci di ragione, idee di giustizia e di libertà, pensieri di pace. È importante che la sofferenza di Meriam sia finita, che questa dura parte della sua storia di donna, di madre e di cristiana abbia trovato una luminosa conclusione. Ma è persino più importante che ci rendiamo conto che tutto questo è avvenuto perché è stata battuta quella che Papa Francesco chiama la “cultura dell’indifferenza”, lo sguardo opaco e vuoto che non vede l’ingiustizia e il dolore, che non smaschera la persecuzione e la violenza, che non accende la solidarietà e la responsabilità. Stavolta invece abbiamo visto, insieme. Insieme abbiamo agito, ognuno nel ruolo che gli è proprio: cittadini, credenti, cronisti e uomini e donne della politica. Insieme possiamo gioire. E possiamo farlo nel cuore di un tempo triste e difficile, in cui non cessa l’attesa di una svolta per le donne d’Africa e d’Asia che vivono le stesse condizioni di Meriam. Possiamo gioire e dobbiamo insistere proprio in questo amaro tempo in cui, dall’altro lato del Mediterraneo - nelle terre dove, come abbiamo titolato, s’è lasciato che s’instaurasse “l’oscura legge del Califfato” – si scrivono pagine terribili di intolleranza e di sopraffazione. Non possiamo richiudere gli occhi. La gioia per Meriam e con Meriam, sorella pienamente ritrovata, aiuti tutti a continuare guardare la realtà ingiusta e a cambiarla: con passione, con pazienza, con fede.
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