Il popolo francese in libera uscita dai partiti tradizionali vuole tornare a contare e a decidere. Ma i nuovi populismi non hanno vinto, non ancora almeno, e il sistema politico resta ad alta volatilità, mentre avanza una domanda di governo che si rivolge a uomini e apparati del tutto nuovi. Il 23 aprile francese è un paradosso che si chiarirà solo in parte nel giorno del ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. «L’unico dato certo che arriva dal test di Parigi – spiega il politologo Mauro Calise – è la conferma della destrutturazione del sistema politico. Sono implosi, per ragioni e con modalità diverse, sia il Partito socialista che les Republicains, gli eredi della tradizione gollista. È come se, giunti nell’età moderna, gli elettori si fossero improvvisamente accorti di avere a che fare con animali della preistoria, i vecchi partiti, incapaci di rispondere alle loro esigenze».
Così si spiega l’atteso successo (ma non l’avanzata inesorabile) delle formazioni populiste, all’estrema destra così come all’estrema sinistra: 4 francesi su 10 hanno scelto Le Pen o Jean Luc Mélenchon e addirittura il 60% ha detto no al bipolarismo forzoso della Quinta Repubblica, se aggiungiamo l’affermazione del 'populista dolce' Macron, uomo sì proveniente dall’establishment, ma nello stesso tempo outsider «né di destra, né di sinistra». Ce n’è abbastanza per proclamare il trionfo della personalizzazione sull’organizzazione consolidata delle grandi famiglie partitiche e, insieme, per registrare il debutto delle macchine elettorali fatte su misura del candidato, capaci di sfornare un’offerta elettorale ad hoc e personaggi in grado di comunicarla, grazie all’abile utilizzo di spin doctor, staff e volontari. Il tutto, nel breve volgere di un anno, anche meno.
La Quinta Repubblica dei partiti è diventata, nell’arco di questa campagna elettorale, la Quinta Repubblica dei leader, vivisezionati da media e cittadini dalla testa ai piedi, per biografia, curriculum politico, usi e costumi fuori dal palazzo. Il paradigma si è capovolto. Non servono più personalità a servizio di correnti e ideologie, ma creature fatte a immagine e somiglianza del capo, a cui è chiesto sostanzialmente il compimento di una missione: interpretare lo spirito dei tempi meglio di chiunque altro, nei panni sempre più richiesti del paladino delle folle e dell’eroe anti-sistema. Dagli ologrammi di Mélenchon al blu Marine di Le Pen (che ha cancellato i simboli del Fn ben prima di fare un passo indietro dai vertici dopo il primo turno) ha vinto il marketing del candidato che funziona sempre, a patto che in vendita ci siano buoni prodotti.
Niente di nuovo, in verità, semmai la Francia si è inserita, buon’ultima, nel solco delle democrazie occidentali che già avevano sperimentato simili percorsi. «Negli Usa Trump e Sanders erano candidati anti-sistema – continua Calise –. Adesso Macron soprattutto, e in parte anche Mélenchon, hanno dato vita a veri partiti personali, sfruttando l’incapacità delle vecchie forze politiche di tenere insieme le oligarchie culturali, sociali ed economiche». Per Sara Bentivegna, docente di Comunicazione politica all’Università La Sapienza di Roma, tre strategie diverse hanno fatto da sfondo alla campagna elettorale per il primo turno: «La sfida coraggiosa in nome dell’Europa di Macron, la narrazione in prima persona di Mélenchon e la rincorsa in stile Lega Nord ai dimenticati delle periferie da parte di Le Pen».
Ora che si è aperta la fase finale di una sfida «destinata probabilmente ad incattivirsi col passare dei giorni», prevede Bentivegna, bisognerà riflettere sul tornante intrapreso, a Parigi e dintorni, dai populismi d’Europa: siamo all’inizio della fine per chi ha proposto terapie d’urto 'anti-casta' (e anti-euro) o si è semplicemente aperta la stagione dei populisti di governo? «L’impressione è che la fase dei leader 'contro' si stia sgonfiando e che ad essa vada sostituendosi la domanda da parte di un elettorato ancora più ampio di trovare soluzioni e ricette al malcontento del popolo», dice Bentivegna. «La Francia va saldamente in una sola direzione, grazie anche al solito ancoraggio istituzionale di cui gode. Per il Vecchio continente è certamente un segnale di stabilità», concorda Calise.
Semmai è la progressiva distanza, non colmata ma accentuata, tra il centro e la periferia a preoccupare, il manifestarsi di tante piccole patrie (dall’Alsazia alla Lorena al Nord delle miniere e delle fabbriche) tanto care al lepenismo a dimostrare che il percorso di pacificazione nazionale sarà complicato: verosimilmente, nei prossimi giorni aumenterà la sindrome del 'tutti contro una' e ciò non farà che accentuare aggressività e paure, mentre le indicazioni degli esclusi dal ballottaggio e l’evocazione dell’esprit republicain contro il Front National potrebbero non avere la stessa forza del passato.
«La verità è che sono saltate le ragioni tradizionali del voto – ragiona Mario Rodriguez, consulente politico e profondo conoscitore dei meccanismi delle campagne elettorali –. Quali sono gli ideali di fondo che muovono un’intera comunità e la convincono a spostarsi su determinate richieste rispetto alla propria classe dirigente?». Cogliere i sentimenti profondi di un gruppo sociale, individuandone i valori-guida, è diventato l’obiettivo principale di chi scende in campo per chiedere consenso. In questo senso, non esistono più feudi sicuri o énclave protette dall’arrivo di concorrenti esterni. Chi pensava ad esempio che le metropoli della Costa Azzurra fossero una riserva di caccia per Marine Le Pen ha dovuto ricredersi: a Nizza, città teatro della mattanza del Daesh nell’estate scorsa, ha prevalso François Fillon, mentre a Marsiglia addirittura ha trionfato l’onda rossa di Mélenchon. Sono dunque cadute le storiche distinzioni tra destra e sinistra? «La gauche è giunta a un bivio senza precedenti – risponde Rodriguez –. E anche la tentazione di farsi un partito personale sul modello di En Marche! avanza e può condizionare altri Paesi, se guardiamo ai risultati ottenuti da Macron fuori dal Partito socialista».
La vera incognita adesso appare quella della governabilità: un conto è la battaglia per l’Eliseo, un altro sarà quella per l’Assemblea Costituente. Non è affatto detto che i nuovi leader, tanto abili nel sedurre l’elettorato e nel giocare la partita in prima persona, siano poi capaci di produrre classe dirigente e organizzare sul territorio un’alternativa alle più strutturate forze politiche uscite sconfitte dal primo turno. «Macron può vincere al secondo turno e non avere i numeri per controllare il Parlamento», sintetizza Rodriguez. Il popolo in libera uscita segue percorsi spesso indecifrabili, e le sorprese sicuramente non sono ancora finite.