martedì 27 ottobre 2020
Il Papa indica nel rafforzamento delle istituzioni internazionali la via da seguire. No alla proliferazione degli armamenti, lotta diffusa alla fame e alle povertà
Una giovane siriana in un campo profughi in Libano

Una giovane siriana in un campo profughi in Libano - Reuters

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In questo periodo di incertezza dovuta alla pandemia di Covid-19 la lettera enciclica Fratelli tutti di papa Francesco si presenta, oggettivamente, come un piano 'politico' di respiro globale. Un piano d’azione necessario. Essa riafferma e conferma alcune idee cruciali e imprescindibili nella definizione dei percorsi di costruzione della pace a livello globale. Fin dal primo capitolo, intitolato 'Le ombre di un mondo chiuso', sono individuate in maniera esplicita le criticità di un società apparentemente aperta e integrata ma, nei fatti, caratterizzata da guerre, paure e assenza di una visione comune da parte delle classi dirigenti dei diversi Paesi. In questo quadro, a essere messa sotto la lente di ingrandimento quale motore di un globalismo che favorisce esclusivamente i più forti, è l’espansione dei mercati a livello mondiale che è avanzata in questi anni seguendo un modello consolidato e acriticamente accettato di crescita economica. Questo nei fatti ha contribuito a generare nuove povertà e diseguaglianze a cui sono associate nuove aggressività oltre all’esacerbazione di vecchi conflitti.

In sintesi, papa Francesco guardando al sostrato economico della vita delle comunità e dell’umanità ribadisce l’idea secondo cui i mercati lasciati a se stessi sono destinati non solo a non funzionare correttamente, ma anche a generare costi sociali sostanziali. Questa idea appare semplice nella sua formulazione, ma non altrettanto semplice è il percorso da seguire per immaginare e implementare regole e politiche in grado di porre rimedio a tali distorsioni. Ed infatti, nel capitolo quinto, intitolato 'La Migliore Politica', papa Francesco, dedica un paragrafo al potere internazionale, in particolare parlando di una qualche forma di autorità mondiale, e scrive che «dovrebbe almeno prevedere il dare vita a organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali ». Invero, il Papa vede nel rafforzamento delle istituzioni internazionali l’unica strada percorribile per la costruzione della pace. In altre parole, la solidarietà, il dialogo e la convergenza verso un progetto comune si concretano nella creazione e nel buon funzionamento e nel rafforzamento delle istituzioni internazionali.

Secondo questa prospettiva, cruciale è pertanto sottolineare due punti fondamentali. In primo luogo, Francesco ribadisce che i sistemi di deterrenza fondati sull’accumulazione di armamenti non determinano pace e stabilità poiché esse «non possono essere fondate su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale annientamento, sul semplice mantenimento di un equilibrio di potere». In pratica, ancora una volta, il Santo Padre afferma in maniera inequivocabile che l’idea – purtroppo in molti radicata – secondo cui la pace e la sicurezza si mantengano per mezzo della proliferazione degli strumenti di minaccia è sbagliata. Deterrenza e pace non sono in alcun modo sinonimi. Quindi papa Francesco, con grande efficacia, esprime seppur indirettamente un giudizio assolutamente negativo sulle politiche di riarmo in corso dei Paesi leader e del mondo e dei loro alleati. In secondo luogo, un ulteriore aspetto da evidenziare è che nelle parole del pontefice, le problematiche economiche e politiche non appaiono mai disgiunte o appartenenti ad ambiti separati, ma sono le une complementari alle altre.

In altre parole, la produzione di beni comuni, la lotta alla fame e alle povertà sono imperativi da cui non si può prescindere nella costruzione della pace, e questo richiede la riscrittura delle regole economiche e politiche non solo all’interno delle nostre società ma anche nei rapporti tra Paesi. Ed è questo il motivo per cui alla classe dirigente deve essere assegnato il compito di non lasciare alle forze del mercato una piena e inviolabile autonomia che alimenti tali ingiustizie economiche. Inoltre, non ci si può affidare a semplici travasi di risorse e liquidità in eccedenza per affrontare seriamente i problemi sociali nella loro complessità. Nelle parole di papa Francesco: «Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del 'traboccamento' o del 'gocciolamento' – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali. Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale».

In questa visione, pertanto, disarmo, costruzione della pace, riscrittura delle regole economiche e rimozione delle ingiustizie e diseguaglianze economiche trovano un primo punto di sintesi e di indirizzo costruttivo nell’invito a organizzare e rafforzare in maniera decisa le istituzioni internazionali. Nel richiamo al ruolo delle istituzioni internazionali si afferma in maniera puntuale e senza fraintendimenti la necessità di evitare ulteriori delegittimazioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite di cui comunque non possiamo ignorare gli errori e gli aspetti critici. Che essa in questi ultimi anni abbia vissuto un’erosione continua di legittimità è noto. Questo processo di indebolimento ha cominciato a manifestarsi sin dalla fine della Guerra Fredda, periodo in cui l’Onu aveva svolto un ruolo importante quale foro di dialogo per le grandi potenze e per gli altri Paesi. Nell’enciclica, si auspica finalmente un cambio di rotta e quindi un nuovo rafforzamento del sistema Onu, anche attraverso una serie di riforme, perché esso diventi realmente una 'famiglia di nazioni' evitando la supremazia di pochi Paesi sugli altri.

È interessante rilevare che la prospettiva di un rafforzamento del sistema Onu è stata in qualche modo riproposta a livello mondiale solo pochi giorni dopo la pubblicazione dell’enciclica, e precisamente in occasione dell’assegnazione del premio Nobel per la pace al World Food Program. Il Wfp, infatti, è un’agenzia delle Nazioni Unite che interviene in contesti di grave insicurezza alimentare e quindi principalmente in territori dilaniati dai conflitti armati. Indicare un’agenzia dell’Onu come destinataria di un premio così prestigioso è, infatti, non solo un riconoscimento dell’attività svolta ma anche un invito alla comunità internazionale e all’opinione pubblica globale a sostenere nuovamente e con maggiore intensità le istituzioni globali che lavorano per dare forma e tutela a diritti fondamentali e che producono i beni comuni globali di cui la pace è il più importante.

Il comitato del Nobel, in pratica, sembra aver accolto il richiamo di papa Francesco. Inutile aggiungere che il richiamo è ancora più necessario e importante trovandosi l’umanità in un anno segnato dalla pandemia di cui purtroppo ancora non conosciamo la reale portata. Come già scritto su queste pagine, la pandemia di Covid-19 in corso potrebbe determinare in molti Paesi oltre a una crisi economica anche una contrazione dei diritti umani fondamentali e della democrazia e quindi il messaggio dell’enciclica Fratelli tutti si presenta più che mai necessario e – speriamo – potenzialmente decisivo poiché esso individua e traccia un percorso di dialogo e cooperazione istituzionale che negli ultimi anni era stato quasi totalmente abbandonato a favore di unilateralismi che si sono poi rivelati forieri di una 'guerra mondiale a pezzi' la cui risoluzione sembra purtroppo ancora lontana.

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