Ce lo si può ripetere infinite volte: sono cose che possono capitare. Ce lo si ripete, lo si rimanda in mente di continuo: nei grandi assembramenti, l’incidente, il caos… Sono cose che capitano. Ma a Madrid la scorsa notte, la notte dei santi e delle streghe, la notte in cui si polarizza ancora una volta il nostro vivere contraddittorio e desideroso, sono morte tre ragazze nella calca, alle 4 del mattino, durante una festa di Halloween. E allora non vale ripetersi nulla. Nessuna frase di buon senso consolatorio resiste di fronte alla realtà e al suo spasmo. E bisogna guardare dentro a questi fatti, con le lacrime agli occhi per tre giovani vite soffocate così banalmente e tremendamente. Ma lacrime che non coprono la vista, non ottundono il giudizio, anzi accendono lo sguardo, lo chiamano più in là.Le tre ragazze sono morte a seguito del panico scatenato dal lancio di un bengala sulla folla. Erano le quattro di mattina. Una delle grandi e piccole feste fatte per tirar tardi, per dare un po’ di spezia saporosa a una quotidianità che non basta a se stessa. E Halloween, ecco, si è presentata anche da noi come festa senza nessuna radice, come pura occasione per cercare ancora quel sapore speziato che sembra soddisfare la voglia di gioia vera.Quando una signora, un giorno durante una conferenza, si alzò con cipiglio a dire che occorre intervenire perché i nostri giovani cercano sempre cose "estreme", risposi che lei, come me, a dire il vero ogni domenica compiamo qualcosa di estremo, quando ci mettiamo tra i denti un corpo, il Corpo di Gesù. E dunque non si doveva stupire se suo figlio cercava anche lui qualcosa di "estremo". La signora rimase un po’ interdetta, ma non a caso i cristiani venivano in origine accusati di trovarsi a compiere riti strani ed estremi. Il fatto è che l’estremo rito e festa cristiana è una festa per la vita, cerca la vita, e il sacrificio estremo è la porta della vita. È la sconfitta della morte, e l’afffermazione della vita. Il contrario di quanto successo purtroppo a Madrid. Si festeggiano i santi, gente "estrema", cioè che ha fatto entrare l’estremo nella misura ordinaria dei giorni.Nelle feste spesso cupe e noiosissime in cui i nostri giovani (e spesso i loro genitori) si buttano, si cercano invece esperienze estreme che lambiscono la morte per "sentirsi più vivi". Come se solo la vicinanza alla morte rendesse più vivi. Non è cosa nuova: ci sono riti antichi, episodi mitologici in cui queste pulsioni che tentano di fortificare la vita toccando i confini della morte si sublimavano. Qualcuno, in passato, ha voluto leggere i grandi raduni rock come nuova edizione di quei riti. Ma ora pare che non ci sia nemmeno più quella tensione alla sublimazione. In Italia – ci dicono i dati – la attitudine giovanile a "buttarsi" in ritrovi traversati pericolosamente dal rischio e dall’odore inebriante della distruzione è meno forte che altrove. Ma monta, si vede. E dinanzi a questi fatti non basta, non serve come faceva la mia interlocutrice, scandalizzarsi o invocare (non si sa da chi) più severità verso i ragazzi e i loro modi di festeggiare.Occorre un’altra festa, più bella. Che non sia solo la disperata ricerca dell’estremo in qualche nottata, ma che tutti i giorni trovi il sapore estremo, dell’infinito, che genera più vita non più morte. Se si festeggiano i santi e i morti, in questi giorni – e tutti i giorni uno o più santi – non sia solo un modo di dire. Ma una festa prorompente da dentro la vita verso la vita.