venerdì 22 dicembre 2023
Il fenomeno delle molestie rappresenta la punta dell’iceberg di una crisi profonda e generalizzata connessa al difficile governo dei propri sentimenti e, soprattutto, delle proprie frustrazioni
Femminicidi, più del patriarcato pesano le fragilità e l'aggressività
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La forte partecipazione emotiva e sociale che ha accompagnato l’uccisione di Giulia Cecchettin e le sue esequie negli ultimi 40 giorni ha richiamato prepotentemente l’attenzione sui femminicidi e sulle loro cause. Un dramma che interessa da vicino tutti, donne e uomini, e che chiama in causa ruoli e responsabilità a vari livelli, individuali e collettivi. Nella maggioranza dei casi, sia nei dibattiti che nelle manifestazioni di piazza, il cosiddetto patriarcato è stato additato come la causa principale nonché come il principale paradigma culturale di riferimento di chi commette violenza sulle donne, lasciando in secondo piano altri processi sociali che concorrono fortemente a condizionare l’esasperazione conflittuale dei rapporti di coppia e le modalità di risoluzione dei conflitti.

Nella definizione della Treccani, “patriarcato” indica “un sistema sociale in cui vige il diritto paterno, ossia il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del gruppo.” Una deriva ancestrale, da cui trae origine la famiglia patriarcale, cara anche alla psicanalisi ed a Freud in modo particolare, che si incarna e declina in maniere diverse nelle varie epoche e aree geografiche, sia in Occidente che in Oriente. Ed anche nel nostro Paese, per lo meno fino alla metà del secolo scorso, il patriarcato è stato sicuramente uno dei tratti portanti del modello prevalente di società e famiglia - pur ampiamente messo in crisi, sia a livello ideologico sia nei comportamenti e vissuti -, tant’è vero che il cosiddetto delitto d’onore è stato abolito soltanto 40 anni fa, nel 1981, ed il voto delle donne è stato conquistato solo nel 1946.

Oggi possiamo dire che concrete fattispecie di vero patriarcato sono rinvenibili, con le debite distinzioni, in società per lo più esterne al contesto occidentale, e che nel la nostra società occidentale, ed anche in Italia, famiglia e comunità di vita non possono essere qualificate come realmente patriarcali, in quanto quel modello è entrato in una crisi profonda, documentata dai tanti cambiamenti avvenuti e che continuano ad avvenire nei ruoli familiari, nei rapporti intergenerazionali, nel lavoro e in politica, nonché nella cultura collettiva relativamente ai pregiudizi di genere. Crisi del ruolo paterno e femminilizzazione dei vissuti familiari ne sono uno degli esempi più evidenti; il successo delle donne negli studi e nel lavoro ne sono un altro.

Per cui è necessario, quando si affronta il dramma dei femminicidi, prendere in considerazione, accanto alle forme residue di sopraffazione di stampo decisamente patriarcale, altri importanti fattori sociali che vi concorrono, dando vita ad un continuum di situazioni e di casistiche che richiede un approccio integrato e multisettoriale.

Ad oggi nel 2023 si contano 117 femminicidi, commessi nella maggior parte dei casi da mariti, compagni o conviventi (42%) e da ex partner (17%), per lo più con armi da fuoco (26 su 100). Sono stati 126 nel 2022 e 119 nel 2021. La percentuale della familiarità dell’aggressore con la vittima è così rilevante da far dire all’Istat che “la relazione parentale è un potente predittore per i femminicidi”. Secondo un’indagine Ipsos condotta nel novembre del 2021, al 36% delle donne italiane è capitato di subire una qualche molestia, e in ambito familiare o sentimentale vengono denunciati schiaffi/spinte (22%), forme di controllo sui comportamenti (tra 12% e 18%) e minacce/insulti (20 per cento).

Aempre secondo gli intervistati da Ipsos, le cause della violenza sulle donne vanno ricercate nell’incapacità maschile di accettare delusioni e fallimenti (63% degli uomini e 65% delle donne), nella cultura maschilista e patriarcale (59% e 69%) e nel fatto che gli uomini non sanno gestire i conflitti (50% e 58%). Quest’ultimo aspetto, in particolare, andrebbe preso in maggiore considerazione. Se infatti gli stereotipi di genere, rilevati da Istat, mostrano un progressivo indebolimento, soprattutto tra i giovani, crescono invece i segnali di fragilità psicologica, incapacità relazionale ed aggressività interpersonale nella società nel suo complesso, ma soprattutto nella componente maschile della popolazione e negli ambiti di vita familiare e di convivenza. Aumentano a dismisura ansia post-traumatica e depressione e, secondo le rilevazioni di Eurobarometro, insicurezza ed ansia sono particolarmente accentuati in Italia rispetto all’incidenza riscontrata negli altri Paesi europei.

Sul piano della relazionalità, si è venuto configurando un indebolimento crescente dei fattori spontanei di protezione sociale, e sono aumentati i legami instabili, la solitudine, la carenza di relazioni umane significative e le forme di egoismo autoreferenziale. Una sorta di “virus del terzo millennio”, che deriva dallo stato di insicurezza generalizzato, producendo aggressività e violenza interpersonale, anche e soprattutto nei rapporti di genere.

Ruolo fondamentale in questo contesto svolgono i mezzi di comunicazione di massa, rispetto ai quali il tragico permanere delle forme di violenza contro le donne ha molto a che fare con una sorta di diabolico innesto tra i residui della concezione patriarcale e la forza prepotente delle immagini, della musica e della della ”rappresentazione scenica” (dai social alla vecchia e nuova televisione, dal cinema alla pubblicità, dalla musica trap tanto amata dai giovani alle televisioni criptate).

Tali contenuti ricorrono sempre più a drammatici collegamenti, ed in particolare al rapporto tra sesso e violenza, messo in scena con effetti e valenze fortemente impattanti sulla psiche di chi guarda (e per questo sempre più utilizzati, a sostegno dell’audience e del relativo ritorno economico per i produttori di contenuti). Ma chi guarda, specie se giovanissimo, riconduce quanto visto al proprio vissuto personale e le rappresentazioni, in mancanza di un background culturale ed esistenziale solido, danno vita a richiami psichici potenti che si traducono in comportamenti imitativi (come una sterminata letteratura scientifica internazionale sta a dimostrare).

In altre parole, occorre prestare maggiore attenzione al fatto che la violenza sulle donne rappresenta la punta dell’iceberg di una crisi profonda e generalizzata che coinvolge l’intero mondo delle relazioni umane, il sistema della comunicazione (che costruisce per la maggior parte della popolazione parte considerevole del modello antropologico di riferimento) e il difficile governo dei propri sentimenti e soprattutto delle proprie frustrazioni. E che il residuo di patriarcato che lavora sotto traccia si incista con la crisi economica e il modello consumista, che esercita una pressione psicologica particolarmente forte proprio sui giovani maschi.

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