Si svolge domani a Roma, presso il Palazzo Borromeo (viale delle Belle Arti, 2 – ore 17.30) l’appuntamento del «Cortile dei Gentili» dedicato all’«Economia più umana e giusta. Un nuovo paradigma inclusivo in un contesto di disuguaglianze crescenti». Organizzato dal Pontificio Consiglio per la Cultura e dell’Ambasciata italiana presso la Santa Sede – dopo i saluti dell’ambasciatore Mancini, del cardinale Ravasi, del presidente del Senato Grasso e della presidente della Camera Boldrini –, l’evento vedrà confrontarsi gli economisti Angus Deaton (Nobel 2015), Jean-Paul Fitussi e Dominique Y van der Mensbrugghe (di cui anticipiamo qui sotto parte della relazione). Conclusioni del ministro del Lavoro Poletti; modera Roberto Napolitano.Il mondo deve affrontare due grandi sfide a lungo termine: ampie sacche di povertà e un clima in rapida evoluzione. Questi due temi e il rapporto tra essi verranno discussi oggi alla conferenza "Verso una economia più umana e giusta" organizzata dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, a Roma. La lotta contro il mutamento climatico comporta cambiamenti radicali nel modo in cui l’economia globale utilizza l’energia. Ciò può ostacolare i poveri dal momento che lo sfruttamento dell’energia è fonte primaria di miglioramento della condizioni di vita.
L’impatto dell’energia su una famiglia impoverita è molteplice. Mentre la percentuale di poveri non è mai stata così bassa nella storia del mondo, esistono ancora grandi sacche di povertà. Nel 2012, secondo la Banca Mondiale, 900 milioni di persone vivevano con meno di 1,90 dollari al giorno, e di essi 400 milioni vivevano nell’Africa sub-sahariana e altri 300 milioni in Asia meridionale. Questo è più o meno lo stesso livello di reddito che la maggior parte della popolazione mondiale aveva dall’epoca di Cristo fino all’inizio dell’era industriale. Ma il reddito è solo un aspetto della povertà. Altri indicatori sono l’alta mortalità infantile e materna, l’arresto della crescita, il basso livello d’istruzione e la vulnerabilità alle malattie.
L’accordo di Parigi (dicembre 2015) ha segnato l’impegno della maggior parte delle nazioni a limitare l’aumento della temperatura globale a meno di 2 gradi e a perseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali . Secondo recenti stime scientifiche, ciò imporrà che le future emissioni cumulative restino entro 590-1.240 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio, il GtCO2, bilancio del carbonio.
Al ritmo attuale di emissioni, il bilancio si esaurirà in 15-30 anni. Insomma, il mondo ha poco tempo per agire. Molti scienziati e economisti condividono la preoccupazione che gli impegni assunti a Parigi non siano abbastanza forti per cambiare radicalmente la traiettoria delle emissioni di carbonio al fine di mantenere l’obiettivo dei 2 gradi. Papa Francesco, nella sua enciclica Laudato Si’ sulla cura della nostra casa comune invita tutti a ripensare le nostre priorità e a cambiare il nostro atteggiamento verso l’ambiente. L’accordo di Parigi dovrebbe essere completato con un’azione più energica. Porre un prezzo sulle emissioni di carbonio invierebbe un segnale chiaro ai consumatori e produttori.
Ciò tuttavia renderebbe più costoso l’accesso all’energia per chi è nel bisogno, il che è un problema che non può essere ignorato. Ma servirebbe anche a generare notevoli risorse finanziarie. Un prezzo del carbonio fissato a 44 dollari (circa 38 euro) per tonnellata di CO2 potrebbe generare 1.500 miliardi di dollari a livello globale. Una parte di questi fondi potrebbe essere utilizzata per aiutare la transizione verso un sistema energetico pulito così come l’accesso all’energia per i più poveri. Non dobbiamo solo ascoltare l’appello del Papa e abbracciare l’accordo di Parigi, ma andare oltre. Dobbiamo fare di più se vogliamo sperare di limitare il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2 gradi.
*Economista, direttore del Center for Global Trade Analysis alla Purdue University (Stati Uniti)