Intesa Emirati Arabi Uniti-Israele, la pace è un mezzo non un fine
venerdì 14 agosto 2020

In tre settimane, gli Emirati Arabi Uniti (Eau), federazione di sette emirati guidata da Abu Dhabi, hanno lanciato la prima sonda araba verso Marte, avviato la produzione di energia nucleare, ufficializzato le relazioni con Israele. Dalle parti degli Eau, pensare in grande pare rientrare nella quotidianità. Un approccio audace e pragmatico che finora ha pagato, trasformando un Paese di nove milioni di abitanti in una media potenza regionale che coniuga ricchezza economica, capacità militari e d’innovazione, diplomazia culturale.

Ecco perché l’annunciata normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele è, per gli Emirati Arabi, solo una tappa di una strategia più ampia, anche d’immagine. Lo stop di Israele all’annessione di parte dei territori palestinesi occupati (pur «temporaneo», secondo il premier Benjamin Netanyahu), è di certo positivo. Ma la sensazione è che, per gli Emirati Arabi, la normalizzazione dei rapporti con Israele sia un mezzo più che il fine: ovvero un tassello della partita per l’egemonia regionale in cui gli emiratini giocano, con l’Arabia Saudita, contro l’Iran, il Qatar e sempre più contro la Turchia.

D’altronde, la questione israelo-palestinese e i rapporti tra Israele e mondo arabo hanno perso centralità, soprattutto dopo il caos generato – e mai riordinato – dalle rivolte arabe del 2011. Egitto e Giordania, che hanno fatto pace con Israele (1979 e 1994), confinano con Israele e lo combatterono direttamente. Invece, la giovane federazione emiratina, geograficamente lontana dai tormenti del Levante, è nata nel 1971: due anni prima della quarta e ultima guerra arabo-israeliana (1973), quando anche lo sceicco Zayed di Abu Dhabi protestò sospendendo le forniture di petrolio agli Stati Uniti.

Anche per questo, Abu Dhabi guarda oggi a Israele con un’ottica più strategica (alleanze e contro-alleanze, posizionamento geografico), che storica. La normalizzazione diplomatica, cui seguiranno accordi bilaterali su sicurezza ed energia, lascia quindi presagire tre implicazioni regionali.

Innanzitutto, l’Iran: facile dedurre che l’asse (quasi) formalizzato tra Emirati e Israele rinserri le fila anti-Teheran. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Qatar incluso) ha appena chiesto alle Nazioni Unite di estendere l’embargo sulle armi contro l’Iran. Proprio gli Eau, dopo gli attacchi alle petroliere a est dello stretto di Hormuz (2019), smussarono però i toni rilanciando colloqui per la sicurezza marittima con gli iraniani, pur di proteggere le rotte commerciali.

La seconda conseguenza è il rafforzamento del fronte anti-Fratellanza Musulmana e movimenti affini (tra cui Hamas, che dal 2017, però, non ne menziona più il legame). La Turchia sostiene i Fratelli Musulmani invisi agli Emirati Arabi: i rapporti Abu Dhabi-Ankara erano gelidi e ora sono apertamente ostili. Per animosità e teatri di scontro indiretto (Libia, Somalia, Sudan, Mediterraneo Orientale, in parte Yemen e Tunisia), quella tra gli emiratini, alleati dei sauditi, e i turchi, alleati dell’Iran, è diventata la prima linea di faglia in Medio Oriente.

Infine c’è l’acuirsi delle tensioni nel Mediterraneo: nel 2017, gli emiratini parteciparono alla prima esercitazione aerea con gli israeliani in Grecia. Gli Emirati Arabi sono schierati con Cipro, Grecia, Israele ed Egitto nella partita per il gas mediterraneo (gasdotto East Med incluso) e si oppongono alle mosse della Turchia tra Cipro e Libia.

La stampa degli Eau sta dando rilevanza all’apertura, nel 2022, della prima sinagoga di Abu Dhabi, sulle orme del viaggio di papa Francesco: la tolleranza è parte del soft power emiratino. A proposito di Israele, il potere di persuasione degli apripista degli emiri potrebbe incidere anche sulle scelte dell’Arabia Saudita (come già avvenuto riguardo l’inclusione dei secessionisti del sud in Yemen). Il Bahrein e l’Oman, che ospitò Netanyahu nel 2018, hanno salutato la normalizzazione.

Se Abu Dhabi aprirà la strada alle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Israele, avrà scritto una pagina storica per il Medio Oriente. Intanto, gli Emirati Arabi hanno rafforzato comunque la loro strategia nella regione.

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